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SPRESIANO IN BICICLETTA
 
 

 

Caratteristiche tecniche

Lunghezza: km.50 - tempo di percorrenza:3,5 ore

GALLERIA DI IMMAGINI

Spresiano, Il Territorio e Le Acque

Spresiano (57 metri sul livello del mare) si trova proprio al centro della pianura trevigiana: il suo territorio è attraversato nella zona nord-orientale dal Piave che, uscito dalla presa di Nervesa della Battaglia, allarga il suo alveo nel conoide di deiezione. Confinano col fiume il capoluogo e la frazione di Lovadina; più a sud, la frazione di Visnadello (attraversata dall'antico canale della Piavesella di Nervesa) tocca il Comune di Villorba, unendosi - tramite la strada statale 13 Pontebbana - alla periferia industriale del capoluogo: Treviso.

La Piavesella (o per meglio dire, la Piavesella di Nervesa) è una delle tre diramazioni (le altre due sono il canale della Vittoria e il canale della Vittoria di Ponente) del canale che, all'altezza di Nervesa della Battaglia, preleva acqua dal Piave da cui tra l’altro prende il nome. Confluisce, dopo circa 21 chilometri di rincorsa tra le campagne, nel Botteniga poco prima del centro storico di Treviso. La realizzazione del canale fu decretata l'8 agosto 1447 per irrigare le aride terre tra Treviso e il Piave. Venne però in passato sfruttato anche per il trasporto del legname e, soprattutto, per muovere mulini, segherie e opifici; a partire dal Novecento, venne rinforzata e vi furono installate anche alcune centrali elettriche. Nel 1913 rappresentava il secondo corso d'acqua della provincia, dopo la Brentella, per la presenza di attività industriali con 22 impianti idraulici e 42 industrie che davano lavoro a circa 1.600 operai. Non a caso, ancor oggi attraversa alcune zone industriali (quelle di Nervesa della Battaglia, Arcade, Spresiano e Villorba).

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Gli accessi al fiume Piave, l’antico porto Veneziano di Lovadina e i ritrovamenti

Nel 2010 nell’area ove sorgeva l'antico porto di Lovadina, in località Palazzon, il Gruppo Recuperanti di Lovadina ha scoperto due effigi: quella di un fascio, scolpito su pietra e riportante l'anno di costruzione “XI di epoca fascista”, ovvero il 1933 e poi lo stemma del 194° battaglione del Genio Zappatori.

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C'è chi ricorda che i due terrapieni e gli argini furono costruiti e rinforzati in epoca fascista e lo stemma del fascio sta a significare proprio questo. Riguardo allo stemma del Genio Zappatori, che era un corpo dell'esercito, Tarcisio Zanchetta del gruppo archeologico del Montello, rammenta che durante l'epoca fascista i lavori di consolidamento delle rive dei fiumi erano demandate al Genio militare. Ecco il perché delle effigi ritrovate.  In particolare Lovadina, fin dall'VIII secolo e fino al 1800, fu una delle località più fiorenti della zona in quanto, insieme al porto di Nervesa, rappresentava uno dei più importanti attracchi fluviali per gli zatterieri che qui scaricavano il legname del Cadore. Legname che poi era trasportato nell'antica località romana di Altino, oppure anche a Venezia.

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Il toponimo: il signor Precilio e Borgo Calessani

Spresiano è l'"ager supercilianus" nome che ricorda le origini romane non solo nei reperti archeologici emersi (un termen, cioè un cippo di confine presso il sedime della Claudia Augusta Altinate, reperti di argilla presso il Piave, ecc.), ma anche nel suo nucleo primitivo, il borgo Calessani (da "calles", strade), dislocato più a nord-est. Trattasi quindi di un prediale.

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(Borgo Calessani)

La via Claudia Augusta è una strada romana la cui esecuzione risale alla prima metà del I secolo d.C. Tradizionalmente si ritiene sia stata costruita per mettere in contatto il mondo romano con quello germanico, partendo dalla Pianura Padana e raggiungendo, attraverso le Alpi, il Danubio in Baviera. La sua costruzione più precisamente è stata avviata nel 15 a.C. da Druso, generale di Augusto, durante alcune campagne militari che portarono alla conquista dei territori della Rezia e della Vindelicia (cioè il Tirolo occidentale e la Germania meridionale). È stata ampliata e quindi ultimata nel 47 d.C. da suo figlio, l'imperatore Claudio, dal quale ha preso poi il nome.

Un po’ di storia – Spresiano, un luogo di passaggi!

I primi insediamenti nella zona risalgono all’epoca romana, come provato dal rinvenimento di vari reperti archeologici. Luogo strategico e passaggio obbligato per il transito sul fiume e il collegamento conseguente fra il Trevigiano, il Coneglianese e il Friuli, il territorio di Spresiano vide nei secoli una serie di scorrerie e di invasioni; al passo di Lovadina, nella primavera del 569, sarebbe avvenuto l'incontro del condottiero longobardo Alboino, sceso dalle Alpi Giulie, con Felice vescovo di Treviso, che seppe muoverlo a pietà risparmiando il saccheggio alle proprietà della chiesa. Da sempre fu terra di transiti e di confine.

Santa Maria del Piave, Lovadina e il monastero hospitale

Il passo di Lovadina, il passo sul Piave si intende, ha sempre rivestito una grande importanza, in quanto luogo di transiti e passaggi dalle terre del Friuli e del Nord est verso sud ed ovest. E qui dobbiamo far riferimento all’hospitale monasterium di Santa Maria del Piave eretto nel 1009, nella vicina frazione di Santa Maria del Piave (Mareno di Piave). Il monastero detto "del Talpon", a ricordo, nel luogo, di qualche pioppo di straordinaria dimensione, venne eretto per unanime volontа di trevigiani e cenedesi, che vi aggiunsero un ospizio per i pellegrini diretti ai luoghi santi lungo la via Hungarica, od Ongaresca (così denominata perché era la via delle reiterate incursioni degli Ungari.

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Il monastero si trovava in un'area assai battuta dai traffici, presso una zona di guadi posta sul medio corso del Piave e all'incrocio tra le strade Ungaresca e Alemanna. Compito dell'istituzione era infatti dare ospitalità a mercanti, pellegrini e viandanti in genere che vi transitavano. La sua importanza era cresciuta all'epoca delle crociate, con l'aumento dei pellegrinaggi verso la Terra Santa. In concomitanza, nobili ed ecclesiastici ne avevano accresciuto le ricchezze attraverso donazioni, mentre vari ordini militari e lo stesso pontefice ne avevano garantito la protezione. Da Santa Maria dipendevano varie chiese poste lungo il Piave e il Livenza. Nel 1229, essendo il complesso decadente sia dal punto di vista materiale che spirituale, papa Gregorio IX lo affidò ai cistercensi dell'abbazia di Follina, scelta che risultò felice per un certo periodo. A determinare la fine dell'istituzione furono però altri eventi: la diminuzione dei pellegrinaggi, le razzie degli eserciti di passaggio e, soprattutto, le disastrose piene del Piave. Significativa fu quella del 1368, quando il fiume mutò il suo corso e il monastero finì per trovarsi nel mezzo di un'isola. Poiché il Piave fungeva (e funge tuttora) da confine fra le diocesi di Ceneda e di Treviso, l'istituzione passò dal controllo dell'una all'altra. Alle inondazioni si aggiunse la decadenza spirituale. Distrutto da un'altra terribile ondata, nel 1459 l'abate commendatario Venceslao da Porcia lo fece ricostruire sulla sponda destra, presso Lovadina. Tuttavia la mancanza di monaci portò, alla fine del XV secolo, all'unione con il monastero femminile di Santa Maria degli Angeli di Murano.

La soppressione ufficiale del monastero avvenne dopo la fine della Serenissima Repubblica di Venezia, per decisione degli occupanti francesi.

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(il modellino in legno della Abbazia –Ospitale nel 1840)

Medioevo e periodo veneziano

In realtà, fu Lovadina (Lupatina, Lwadine) il primitivo e più importante agglomerato della zona, già tappa militare sugli itinerari delle legioni imperiali, poi corte di Berengario e Adalberto re d'Italia, da questi donata nel 958 a Rambaldo di Collalto. Sotto le differenti vicende ecclesiastiche, la realtà storica dei tre centri (Spresiano, Lovadina e Visnadello) si accomuna per carestie, miseria ed epidemie intercalate da passaggi di genti in arme. Devastati dai padovani, questi villaggi subirono le lotte degli Ezzelini e dei Carraresi contro i trevigiani, e le terribili incursioni degli Ungari. Si pensi in particolare alla pesante sconfitta che in battaglia sulle grave del Piave, subì Venezia ad opera degli Ungheri, il tutto a confermare l’importanza della linea di demarcazione fluviale e della strada Ongaresca come via di invasione. 

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(i ruderi del convento nel 1930)

Il dominio veneziano vi insediò poi la nuova aristocrazia terriera lagunare. Sono gli anni in cui Venezia comincia ad estendere domini ed interessi verso la terra ferma e quindi anche nei nostri luoghi. Siamo nel 1389, anno della apertura alla fedeltà a San Marco di Treviso. Fu solo con l’annessione alla Repubblica veneta, nella prima metà del XIV secolo, che ebbe inizio un lungo periodo di pace, durato quattro secoli. Necessità d’indipendenza negli approvvigionamenti alimentari e di materie prime (si pensi al legname per l’Arsenale) avviati nella capitale per via d’acqua o lungo il Terraglio giustificarono l’importanza della Marca Trevigiana nel dominio peninsulare di Venezia. Uscita dal malgoverno dei Carraresi, Treviso superò la carestia che l’afflisse ai primi del secolo e con la pace, le campagne spresianesi divennero il fondaco del grano per Venezia. Da ricordare in quegli anni (1491-1492), un episodio curioso e cioè due invernate talmente rigide da ghiacciare il Piave, tanto che lo si poteva attraversare a piedi. Sono gli anni delle grandi opere idrauliche come la Piavesella. Attorno alla forza idraulica crebbero l’industria della lana (i folli) e della carta (non è da dimenticare il fatto che il Cinquecento segnò lo sviluppo e la diffusione del procedimento tipografico a caratteri mobili). Crebbe l’attività molitoria e fabbrile (i magli) con insediamenti sviluppatisi lungo i corsi d’acqua, in particolare a Visnadello lungo la Piavesella. La zona fu tra l’altro, una delle prime contrade d’Europa dove si introdusse l’allevamento del baco da seta (nel 1868 si conteranno in zona ben 15 setifici).  Il mais invece si diffuse intorno al 1630. Nel 1512 poi, il Piave, rotti i ripari a Nervesa scese nelle campagne: questo evento richiamò sul tratto Nervesa-Lovadina interventi culminati nei poderosi “Murazzi”.

Particolare attenzione dedicò Venezia al passo di Lovadina per agevolarvi con capolavori di ingegneria e di architettura il passaggio di uomini di Chiesa e di Stato (si pensi all’imperatore Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero). Sono gli anni nel corso dei quali si proseguirono i lavori, iniziati dai benedettini, per la bonifica di queste terre ripetutamente allagate dalle acque del Piave e si costruirono arginature (si pensi ai toponimi rimasti quali “Via Argine San Marco “a Lovadina) e opere di irrigazione, quali la Piavesella e il Canale della Vittoria.  Il 1797 segna la fine del dominio veneziano e l’arrivo prima dei Francesi di Bonaparte e quindi degli Austro-Ungarici.  Per quanto attiene al guado sul Piave, esso nei primi anni fu riproposto al Palazzon, ove si tentò anche una progettazione di un ponte stabile. Manufatti provvisori fatti dai Francesi in funzione militare furono realizzati, ma poi abbandonati perché vanificati dalla corrente del Piave. Si abbandonò il progetto e si puntò decisamente su quella che è l’attuale Pontebbana. Agli inizi dell'Ottocento questa nuova strada militare, voluta da Napoleone per puntare decisamente al cuore dell’Austria, rivoluzionerà la viabilità consolidata all'interno del territorio; il centro del territorio comunale diventa a tutti gli effetti Spresiano. Dalle invasioni francesi (non va dimenticata la battaglia del 1809, combattuta e vinta sul Piave dal viceré Eugenio di Beauharnais contro gli Austriaci) alla dominazione asburgica, attraverso il considerevole contributo alle lotte del Risorgimento traffici e commerci locali vennero esercitandosi lungo la nuova 'Strada maestra d'Italia', dotata di servizio postale, che col ponte della Priula tolse importanza al più antico passo sul Piave, interessando particolarmente villaggi come Visnadello e Spresiano, che ora si trovavano allineati.

Il 1885 è l’anno della inaugurazione della prima stazione di Spresiano. La prima stazione fu in realtà un piccolo fabbricato a destra di chi proviene da Treviso e sorse in curva pare per un compromesso fra Spresiano e Lovadina, tutte e due comunità che rivendicavano la prossimità della fermata. La fermata fu raccordata mediante un sottopasso con la frazione di Lovadina e il Palazzon. Il movimento merci e passeggeri in quegli anni aumentò talmente che si decise di progettare una nuova stazione (quella attuale) più adatta alle esigenze dell’epoca: siamo nel 1909.

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Sviluppo socio-economico e notevole incremento demografico accompagnarono, sul finire dell'Ottocento, il primato di Spresiano nell'industria del legno e nelle connesse attività sociali intorno allo Stabilimento Lazzaris. Un'industria allora d'avanguardia in Italia, che alla vigilia del primo conflitto mondiale giunse a occupare localmente quasi un migliaio di addetti. E a proposito di guerra: il territorio di Spresiano fu duramente colpito dagli eventi bellici della prima guerra mondiale: per effetto della battaglia del Piave la popolazione fu costretta prima ad evacuare l'abitato e poi a preoccuparsi della sua ricostruzione. Solo dopo la seconda guerra mondiale il comune ha sviluppato una spiccata vocazione industriale

E allora, in sella, si parte! Il nostro viaggio alla scoperta di questo territorio parte dal centro Amministrativo del Comune: il Municipio. Siamo in Piazza Rigo
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IL MONUMENTO AI CADUTI

Il territorio di Spresiano venne duramente colpito dagli eventi bellici della prima guerra mondiale: per effetto della battaglia del Piave la popolazione fu costretta prima ad evacuare l'abitato e poi a preoccuparsi della sua ricostruzione. È una costruzione di Giovanni Possamai del 1931. L’opera, in bronzo, rappresenta l’allegoria della Vittoria che premia un soldato.  Il grandioso monumento si sviluppa al di sopra di una scalinata che sostiene uno zoccolo centrale, inquadrato ai lati da due sostegni simmetrici che sorreggono entrambi un braciere bronzeo. Lo zoccolo presenta al centro un elemento aggettante, strutturato in un dado e in un basamento di sostegno alla Vittoria, statua bronzea colta nell’atto di incedere, mentre offre una corona d’alloro. Sulla faccia del piedistallo è affisso un rilievo bronzeo con il mezzo busto di un caduto avvolto nella bandiera, quasi divenuta un sudario.

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Poco oltre, ecco l’Arcipretale!

 

L’ARCIPRETALE DI SPRESIANO (1925)

 

La prima chiesa della Rettoria di Spresiano, sorta verso l’anno 1000 si eresse non distante dalla riva destra del Piave e si ricostruì pressappoco sul sito ove sorge la attuale chiesa, dopo la terribile alluvione del 1368. La chiesa era nei tempi antichi rivolta con il suo accesso principale in direzione del fiume Piave, in un luogo che, almeno sino all’Ottocento, non era centrale nel territorio di Spresiano, data la sua vicinanza con Lovadina. Quest’ultima infatti, grazie alla sua vicinanza con il Piave e l’antico porto veneziano, era di gran lunga il centro più importante del comune. L’ottocento e la costruzione della “pontebbana” però spostarono chiaramente l’asse viario relegando Lovadina ad un ruolo “minore”. Filiale di Povegliano nel 1330, fu modificata in più riprese.

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Ne segnaliamo solo alcune: partiamo dal XVII secolo, periodo in cui il paese si fece più grande e si ebbero nuovi lavori: l’orientamento della chiesa divenne l’attuale ponendo la porta al posto dell’abside e aprendo quattro finestre e due porte laterali; a ridosso del coro poi si eresse un piccolo campanile. Ma l’escavo di numerose fosse nel cimitero adiacente, presso i muri, e l’oscillazione del campanile provocarono nel 1689 il crollo del coro, poi rifatto nel Settecento. Anche questa chiesa quindi è orientata sull’asse ovest est. Ma perché questo orientamento, tra l’altro così comune nelle campagne trevigiane? La risposta sta nel simbolismo dato a fenomeni come il Sole, ai punti cardinali   e soprattutto alle grandi religioni e le loro origini. Una volta bisognava rivolgersi ad oriente per la preghiera, in tutte le religioni, ed esso era un punto di riferimento importante. Come ripreso nella testimonianza qui sotto riportata, l’orientamento delle chiese è determinata da una direzione sacra che l’oriente. Il tutto è legato al sole, che nasce ad oriente (La luce di Cristo) e tramonta a occidente (Le tenebre ed il Male).  Essi vedevano nel sorgere del sole un simbolo della Risurrezione e della seconda venuta. E questo simbolo è stato quindi trasposto anche nella preghiera. Vi sono elementi che ampiamente dimostrano che dal secondo secolo in poi, in gran parte del mondo cristiano, la preghiera era rivolta verso oriente.

Nel 1795 fu concessa a questa chiesa, la dignità arcipretale e nell’Ottocento seguirono dotazioni e interventi significativi, a partire dai pregiati affreschi di Giambattista Canal nel soffitto con la “Gloria del Titolare” vicino alle rappresentazioni di Inferno, Purgatorio e Paradiso e con le Virtù Cardinali e Teologali ai lati del quadro maggiore.

Le opere

Un primo cenno va fatto ai dipinti che non ci sono più! Gli affreschi di Giovan Battista Canal detto “Il Canaletto”. Il Canaletto operò a Spresiano tra il 1813 ed il 1814. Purtroppo i suoi affreschi furono distrutti dai bombardamenti alla chiesa fatta dagli austriaci nel 1917. Affreschi suoi si conservano per fortuna nelle vicine chiese di Cusignana, Arcade e Maserada. Il soggetto dell’opera che occupava quasi interamente il soppalco dell’unica navata svolgeva temi importantissimi della cristianità quali: la Santissima Trinità, le Virtù Teologali, e le Virtù Cardinali. Purtroppo di tutto questa non ne venne conservata neanche una fotografia.

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I quadretti attribuiti al Pordenone  

 

 Il Fapanni dice: “si tratta di due belle e grandiose tele al naturale e mostrano essere i SS. Apostoli Pietro e Paolo. Si attribuiscono giustamente al Pordenone”. È del celebre pittore (1484-1539) seguace del Bellini e del Giorgione che stiamo parlando! Isolati in due cornici e collocati sopra gli ingressi delle sacrestie, e in posizione giudicata scorretta dai più data la loro eccessiva esposizione alla luce, si salvarono dal bombardamento della prima guerra mondiale. Scelta giudicata sbagliata ma che li preservò! Sono opere dunque antiche che dovevano provenire da altra parte, cose che non ci è dato con certezza sapere. Si tratta di due piccole tele di 60 cm x 60 cm che sono poste oggi alle pareti dell’abside della chiesa.

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La pala del Crocifisso di Lattanzio Querena

Lorenzo Querena, Clusone 1768-1853 L’opera (1842) ha tutti i caratteri della scuola veneziana. Sullo sfondo idealmente disegnata la città di Gerusalemme con le sue torri ed il tempio. Si vede anche la catena montuosa del Libano sullo sfondo. Il cielo è fosco, denso di nuvole che chiamano tempesta. Un teschio e alcune ossa umane ai piedi della croce. Il Cristo è maestoso e studiato in tutti i suoi dettagli anatomici. Il volto del Cristo è segnato dal dolore ma allo stesso tempo appare tranquillo, sereno. La croce è di tipo romano e cioè mozza in alto nel braccio estremo. Una curiosità: il volto non è imbrattato di sangue come spesso invece viene raffigurato il Cristo in croce.

Altra curiosità: Questa pala, venne asportata dalla chiesa Arcipretale nel 1917, pochi giorni prima che sulla stessa cadessero le bombe. Fu traslata provvisoriamente a Treviso, anche se durante il trasporto subì uno strappo ancor oggi visibile sul fianco destro di chi osserva.

La Vergine del Rosario di Leonardo Gavagnin

Anche questa pala (1847) ha una storia di guerre! Dopo le giornate di Caporetto infatti e precisamente il 26 gennaio del 1918 fu trasportata presso la curia di Treviso. Fu riportata nella chiesa nel 1926, anno della edificazione della nuova chiesa di Spresiano. La Vergine è seduta su di un trono damascato sotto un arco di stile classico. Regge il bambino sulle ginocchia e leggermente lo tocca e protegge con la mano sinistra. Con La mano destra porge con delicatezza il Santo Rosario a San Domenico. Il volto della Vergine è quello della madre buona e dolce e nel contempo quello di una regina. Aristocratica la figura di San Domenico dalla bella barba e con l’aureola arricchita da una stella. Sul fianco opposto a sinistra del trono la figura del Batttista. Sotto al trono un angelo che pizzica la mandola

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La Vergine del Rosario di L. Gavagnin (1847) CHIESA DI SPRESIANO.jpg

La Trasfigurazione del Cristo sul Tabor

Questo quadro come abbiamo detto si trovava nella chiesa di Piombino Dese. Mostra la gloria di Cristo sulla sommità del Monte Tabor. Il Cristo campeggia tra Mosè ed Elia. I testimoni del miracolo, Pietro,Giacomo e Giovanni colti da smarrimento risaltano nel forte contrasto dei colori.  L’opera ha qui sede dopo lo stacco e riattacco dalla chiesa di Piombino, sin dal 1942.

J.GUARANA' - LA TRASFIGURAZIONE

Il quadro del titolare di Lepsky (1929)

Scopo di quest’opera, realizzata dal prof. Gian Maria Lepsky, era quello di sostituire il simulacro della SS. Trinità distrutta nei bombardamenti del 1918. L’opera ora abbellisce una parete del presbiterio della Chiesa.

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Le pitture del Sacro cuore e della deposizione di Pomi

L’opera (1948) è stata realizzata dal prof. Alessandro Pomi di Venezia. Si tratta dello stesso autore delle belle Stazioni della Via Crucis che ci sono nel Duomo di Treviso. Si tratta della deposizione del corpo del Cristo, un dipinto di 4 metri per 1,50 che si trova nella lunetta semicircolare sovrastante la tavola del Sacro Cuore.

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UN PO’ DI CAMPAGNE ISOLATE

Lasciata l’Arcipretale di Spresiano più o meno di fronte a noi dall’altra parte della strada prendiamo Via San Pio X e poi dopo 100 metri andiamo a destra in via Cavour. Questa strada ci porterà in poco tempo fuori dal traffico della Pontebbana. Circa 300 metri e quindi a sinistra in via Monte Piana.

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Circa 600 metri più avanti ci troveremo a pedalare a sud di una grande cava di ghiaia (fenomeno onnipresente in queste zone purtroppo!). Circa 500 metri ci ritroviamo in piccolo borgo e quindi subito dopo una curva secca a sinistra ci porterа dopo 500 metri all’incrocio tra via Bainsizza e via Gravoni.

VIA BAINSIZZA

Mi ha incuriosito il nome di questa via e sono andato a capirci qualcosa di più. Il suo nome fa riferimento ad una importante battaglia della prima guerra mondiale. Bainsizza è un altopiano della Slovenia. Durante la  fu teatro della ; alla periferia di Sveto vi è ancora una colonna commemorativa della 2Є Armata italiana col nome di molti reparti che ebbero parte alle operazioni in tale battaglia

 

SCONFINAMENTO AD ARCADE

Andiamo ora a destra su via Gravoni. Avanti per 200 metri in direzione nord. Eccoci ora all’incrocio con via Madonnetta, una chiesetta: abbiamo debordato un po’ e siamo nel territorio della Vicina Arcade.

LA MADONNETTA

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Ora teniamo la destra e procediamo in direzione nord su via Madonnetta. Poco più avanti sulla nostra destra lo scorrere del canale Piavesella di Nervesa.
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Circa 1 km più avanti andiamo a destra in via dei Santi. Ancora un chilometro (sulla nostra sinistra delle abitazioni) e quindi a destra per altri 400 metri. Ora a destra per 100 metri. Ora sulla nostra destra un capitello votivo.

IL CAPITELLO DI VIA BUSCO

Si trova in quella che originariamente era una strada medievale che conduceva da Spresiano a Nervesa. E’ prossimo alla zona detta “dei Foscarini” possidenti veneziani. Si ha certezza che il capitello sia qui sicuramente nel 1793, anno in cui il Vescovo di Treviso ne fa menzione. Dedicato alla Madonna del Rosario, a Sant’Antonio e pare anche a Sant’Osvaldo, ne conserva le statue lignee policrome di un gusto popolaresco databile fra il Sei e Settecento.

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Teniamo ora la sinistra e andiamo avanti per altri 500 metri. Ora a sinistra in via Col di Lana per altri 500 metri sino a uscire sulla Pontebbana. Ora a destra per 200 metri e quindi a sinistra su via Piave. Fatti 300 metri entriamo a sinistra a destra in via Adige. Una scritta turistica ci dice che siamo nei pressi del Cippo di Calle Ferro. Basta andare più avanti per circa 300 metri e fare attenzione perché si trova a destra entro i confini di una abitazione privata.

 

IL CIPPO DI CALLE FERRO

 

Termen (pietra o cippo confinario che delimitava i confini tra terreni appartenenti a proprietari diversi). Rinvenuto nelle vicinanze dell'antica "Cal di Ferro", si tratta di un cippo anepigrafo ricavato da un blocco di conglomerato del Montello (puddinga) che, probabilmente già in epoca romana, costituiva un limite (confine) nella centuriazione presso il fiume Piave. I vari spostamenti di confine rendono difficile precisarne la collocazione d'origine

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Ora giriamo a sinistra in via Manin. Andiamo avanti per 500 metri e quindi a sinistra per altri 500 metri. Siamo in borgo Calessani. Affrontiamo questo tratto transitando nei luoghi ove si dice essersi costituito in antichità il primo nucleo della futura Spresiano. (Un ringraziamento particolare alla collega Anna Fandella per le utilissime indicazioni).

 

BORGO CALESSANI

Borgo Calessani (da “calles”, cioè strade) è identificato comunemente come il primissimo insediamento abitativo di Spresiano. Spresiano nasce qua praticamente, si sposta a Lovadina e torna a Spresiano centro. Questa è un po’ della sua storia. Il colmello si distingueva per la vetustà e l’impiego del sasso nelle costruzioni. Ancora fino agli anni venti del secolo scorso addirittura il dialetto era leggermente diverso dal resto del comune in questi luoghi: più tronco, più spiccato

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CAPITELLO DI SAN MARTINO A CALESSANI

Fino al 1985 esisteva un capitello all’incrocio che porta al Piave . Ora è stato ricostruito poco oltre con stile diverso. Era questo capitello forse il più antico e sorto, pare, su rovine di una precedente cappella. Sempre caro alla gente del luogo che nel 1905 vi collocava una oleografia con l’incoronazione della Vergine. L’invocazione a San Martino che da circa un ventennio dа vita ai festeggiamenti nella borgata non è tuttavia originale richiamandosi al nuovo tempietto

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DIPINTO AL CAPITELLO DI BORGO CALESSANI.jpeg

VERSO I MURAZZI

Giunti all’incrocio di Borgo Calessani, noi ora teniamo la destra e cominciamo così Strada dei Murazzi. Ci stiamo recando verso la grande Piave. Percorriamo strada dei Murazzi per 600 metri e quindi a sinistra ancora sulla strada. Circa 600 metri più avanti sfioriamo una abitazione. Una sbarra sulla destra ci indica la direzione.

Di là sono vietate le auto ma noi no, possiamo andare. Fatti circa 250 metri la strada sembra indicarci la sinistra. Noi però teniamo la destra in corrispondenza del punto rappresentato nell’immagine che segue.

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Cominciamo da qui a pedalare al di sopra di un piccolo argine. Pedaliamo per circa 1 km con accanto lo scorrere della Piave e ad un certo punto scendiamo dallo stesso argine prendendo una stradina che ci conduce a destra entro un’area ampia e priva di vegetazione. Siamo nel pieno di quelle che sono chiamate Le grave di Lovadina. Divertiamoci un po’ a zigzagare con la nostra bici tra le stradine di quest’area.
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IL PARCO DELLE GRAVE DI LOVADINA

E’ l’area verde più grande del Comune di Spresiano. Stiamo parlando di ben 32.000 metri quadri di area destinata a parco. Da notare la presenza di piante arboree come la robinia, l’alianto, l’ontano nero, l’acero campestre, il pioppo nero e di piante arbustive come la rosa canina, il nocciolo, il sambuco e il biancospino.

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PALAZZON

Qui sorgeva tra il 500 ed il 600 d.C. una cappella dedicata a San Martino. Si narra che qui nel 589 d.C. il Vescovo di Treviso Felice incontrò Alboino Re dei Longobardi convincendolo a risparmiare la città di Treviso. Di qui nell’889, transitarono gli Ungari nelle loro invasioni che li condussero fino alle porte di Pavia. Qui vi sorgeva l’Ospitale di Santa Maria del Piave. Qui durante il dominio Veneziano fu costituito un porto, in un luogo così strategico e di passaggio (vedasi ancora oggi toponimi come Via Argine San Marco e Via Barcador). Qui poi, fatti e avvenimenti legati alla prima guerra Mondiale. E infatti proprio qui osserviamo una particolarissima struttura a memoria di quei cruenti fatti.

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IL MEMORIALE AI CADUTI

Si tratta di una postazione a ricordo dei Caduti lungo il corso del fiume Piave a Lovadina, nei pressi dell’antico porto, nel corso della Grande Guerra. Il monumento principale, a base rettangolare, recintato da reticolato e filo spinato è composto da numerosi reperti (cannone, lettiga, elmetti, granate e bombarde) e da sculture realizzate utilizzando reperti originali ritrovati lungo il Piave, raffiguranti diversi elementi (una barca da ponte, mani che si uniscono, ventaglio di pale, vasi di fiori, un crocefisso, delle campane…).Il monumento è stato realizzato su un’area demaniale lungo via del Barcador ed è curato dal sig. Roberto Bertelli, suo creatore.

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Ora, andiamo in direzione est, passiamo sotto il ponte e proseguiamo su via Barcador per circa 250 metri. Andiamo a sinistra in Strada delle Grentine. Sono strade intrise di canali artificiali. Andiamo a capirne qualcosa di più!

LE OPERE DI IRRIGAZIONE

Sono zone queste in cui è facile osservare la presenza di imponenti opere di irrigazione, caratterizzate da fossi e canaloni. Ricordiamo che l’organizzazione idrografica con le difese dalle inondazioni e il controllo della laguna, costituì per Venezia assillo costante. Da un lato si trattava di proteggere la laguna dai detriti portati dai corsi d’acqua a valle e dall’altro di dotare “il granaio della Repubblica” di un efficiente sistema irriguo.

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Ecco allora opere come la Piavesella di Nervesa iniziata giа nel 1453. Alla sua realizzazione concorsero esclusivamente risorse locali specie per le diramazioni interne. Oltre all’abbeveraggio del bestiame, gli usi domestici e la piccola irrigazione, essa venne sfruttata per la forza motrice con beneficio particolare per Visnadello. Le campagne di Spresiano e Lovadina invece, ne trassero beneficio solo attraverso l’approntamento di “seriole” o canali di raccordo. In questa zona ne troviamo molti.

 

VERSO L’OASI DEL CODIBUGNOLO (Salettuol)

Circa 800 metri più avanti teniamo ora la sinistra. Circa 450 metri più avanti lasciata una abitazione sulla nostra sinistra, noi proseguiamo a destra.  Avanti ancora 600 metri e in corrispondenza di una sbarra noi teniamo la sinistra per entrare dentro il bosco. Ci stiamo immergendo nel pieno dell’Oasi del Codibugnolo.

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Procediamo per altri 500 metri e ancora a destra
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Circa 300 metri più avanti ancora a destra. Avanti ancora 150 metri e preceduta dal un bel ponticello in ferro, stiamo uscendo dall’oasi tenendo qui la destra.
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Facciamo ora 600 metri e teniamo quindi la destra per giungere ancora in Via Grentine.
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Ancora 700 metri e quindi a sinistra. Altri 300 metri e quindi a sinistra.  Ora 100 metri e quindi ancora a sinistra. Siamo ora in via Minzoni. Circa 500 metri più avanti incroceremo via Argine San Marco. Noi proseguiamo ancora dritti. Pedaliamo per altri 900 metri ed ora andiamo a sinistra in via Mazzini.

VERSO LE CAMPAGNE DI VARAGO
Circa 1,3 km più avanti sulla nostra sinistra un gruppetto di abitazioni. Noi teniamo la destra su una stradina secondaria e sterrata. Dopo circa 1,3 km entriamo a destra in via Brenta. Altri 200 metri e quindi a destra in via Montello. Circa 800 metri più avanti teniamo la destra in via Campagne Varago
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Andiamo avanti per 600 metri. Ora usciamo a destra sulla principale, la provinciale 108. La percorriamo in direzione nord per circa 1,2 km. Ora abbiamo una rotonda a forma di fagiolo. La percorriamo tutta invertendo la rotta. Andiamo avanti 100 metri e quindi a destra in via Vecellio. Poco oltre, un po’ nascosto da una grande siepe e da una importante cancellata, ecco il Palazzo Rosso.

PALAZZO ROSSO

Esempio di transizione tra la casa colonica e la villa. Porticato a tre arcate ribassate al pian terreno. Interno a pianta veneziana. Sul lato destro snelle mensole di marmo con rilievi tardo rinascimentali.

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Torniamo sui nostri passi andando in direzione est. Ora a destra per entrare nell’area del Lago Bandie. La prima cosa da andare a vedere sono le Barchesse Ballarin

LE BARCHESSE DI CA’ BALLARIN

Si tratta di due barchesse seicentesche acquistate nel 1981 dalla Mosole spa e ristrutturate seguendo le direttive della Sovrintendenza ai Beni Architettonici e Culturali di Venezia. È ciò che rimane della Villa omonima andata distrutta.

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Viste le Barchesse cominciamo il nostro giro tutto attorno al lago delle Bandie. Andiamo quindi dritti in direzione del ristorante a ridosso del Lago.

LAGO LE BANDIE

E’ un centro sportivo ricavato da una cava realizzata negli anni 1970 durante la costruzione dell'autostrada A27. È costituito da un grande bacino cui sono annessi spazi verdi e impianti sportivi, rivolti particolarmente al nuoto (esiste una palestra con piscina olimpionica) e al ciclismo.

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Il nostro viaggio attorno a questo lago inizia in corrispondenza dell’accesso ad un ristorante posto sul versante sinistro del lago. Facciamo poco oltre una salita dura ma corta sino a raggiungere la sommità della sponda. Da qui viaggiamo seguendo le indicazioni sino ad arrivare grosso modo in corrispondenza delle Barchesse Ballarin. Ancora a nord per prendere l’uscita.
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VERSO LOVADINA

Ora andiamo a riprenderci la rotonda che questa volta faremo per tre quarti e andare dentro in via Monte Pelmo. Stiamo andando a raggiungere il centro di Lovadina.

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(la Parrocchiale di Lovadina vista dal cavacavia di Via Pelmo)
Fatta via Monte Pelmo (circa 400 metri) alla successiva rotonda andiamo avanti e poco oltre entriamo a sinistra su via Caduti per la Libertà.
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LOVADINA

Lovadina è la frazione più grossa del Comune di Spresiano: conta oltre 2500 abitanti ed è posta a sud-est rispetto all’abitato del capoluogo. La sua estremità orientale è bagnata dal fiume Piave.

Il nome del paese deve essere legato al termine dialettale lovo cioè "lupo". Toponimi di questo genere non sono infrequenti in Italia (vedi, ad esempio, Lova,Lovolo) e testimoniano la presenza di foreste dove abbondava la selvaggina ed in particolare i lupi. Si ha cenno di attacchi di lupi da queste parte fino a circa 300 anni fa. Si ricorda che nel ‘300 secondo gli statuti comunali, ogni regola (paese) di una certa dimensione doveva allestire due “loviere” o tagliole. In particolare l’Agnoletti indica nell’insegna di una pelle di lupo appartenente ai soldati romani stanziati nella Villa di Lovadina l’origine del nome. Interessante anche la tesi dell’Olivieri: nella sua “Toponomastica Veneta”, pone questa derivazione sotto la voce “Nomi di animali”, aggiungendo che qualche volta il termine lupa viene usata ad indicare “gonfiezza di fiume impetuoso” in relazione al concetto popolare della improvvisa voracità della lupa.

Un po’ di storia

La comunità di Lovadina ha più di mille anni. Quasi certamente tra il 500 e il 600 dopo Cristo, i pochi abitanti di questo territorio giа civilizzato dai Romani, perché luogo strategico sulla riva destra del Piave che qui poteva essere guadato e mettere quindi in collegamento i territori a nord del Piave con la Postumia e la Claudia Augusta Altinate, avevano edificato, forse proprio vicino al fiume, una cappella dedicata a San Martino. Un tradizione afferma che qui, nel 569, il re longobardo Alboino incontrò il vescovo di Treviso Felice che lo convinse a risparmiare la città. Ancora oggi il centro del paese sviluppatosi con il solo apporto di terra alluvionale, conserva ancora almeno in parte un aspetto topografico tipico della borgata medievale: numerosi fabbricati hanno infatti caratteristiche architettoniche di vecchia data.

Nel 1009 sulla riva del Piave, in un luogo detto “Talpon”, forse perché vicino ad un grande pioppo (in dialetto pioppo era detto talpon) fu costruito l’Ospitale di Santa Maria del Piave. “Ospitale” perché dava ospitalità, ricovero, alloggio a viandanti, mercanti, pellegrini che transitavano per questo territorio e si fermavano in attesa di attraversare il Piave con il traghetto. Le prime testimonianze scritte parlano di una corte di giustizia già presente a Lovadina nel X secolo. Alla storia del paese è inoltre legata la presenza del monastero di Santa Maria del Piave, gestito dai cistercensi e dipendente dall'abbazia di Follina. Sorto inizialmente sulla riva sinistra del fiume Piave, fu ricostruito a Lovadina nel XV secolo.

Il secolo XVII (1600-1700) è il secolo d’oro per il paese di Lovadina. Lungo la strada postale che da Treviso si dirigeva verso il traghetto del Piave si costruiscono ville patrizie, molte di proprietà dei signori veneziani, tra cui il palazzo dei Bove, ora Casa Maura, in piazza, e villa Ballarin, di cui ora rimangono solo le barchesse.

Torniamo un attimo al 1797. In quegli anni Lovadina aveva una Abbazia che era costituita da due edifici religiosi, la chiesa di San Martino e la chiesa del monastero dedicata alla Beata Vergine, San Pietro Apostolo, San Giovanni Evangelista e a tutti i Santi, e dal complesso conventuale. Dopo la fine della Repubblica Veneta ci fu la soppressione di fatto dell’Abbazia di Lovadina che venne trasformata in caserma per i soldati. Il 5 Novembre del 1806 poi un pubblico ufficiale accompagnato dal priore pose i sigilli alla porta del famoso convento. E intanto Lovadina diventava comune di terza classe unito alla vicina Visnadello e separata da Spresiano che faceva comune a sé, segno che il passaggio plavense di Lovadina era ancora molto frequentato; ma finito Napoleone, ritornano gli austriaci nel 1813; l’anno dopo venne abolito il comune di Lovadina e oggi Lovadina è semplicemente una frazione di Spresiano.

Il centro abitato fu praticamente raso al suolo durante la Prima guerra mondiale a causa della sua estrema vicinanza alla linea del fronte del Piave. Dolorosa cronaca di devastazioni e ricostruzioni va segnalata anche per questo piccolo borgo. Le granate che nel maggio 1918 sconvolsero questo borgo a ridosso del Piave, ne atterrarono il campanile e lesionarono la chiesa con l'irreparabile perdita del soffitto di Noè Bordignon (1892).

Riprendiamo il nostro viaggio. Appena entrati in piazza da via IV Novembre, sulla nostra destra ecco il Palazzo Bove, ora casa Maura.

IL CINQUECENTESCO PALAZZO BOVE (ORA MAURA)

Villa Maura si trova in piazza della Repubblica a Lovadina tra l'incrocio della via 4 Novembre e via Irti Isaia. E' una costruzione molto antica, infatti da un documento, precisamente un estimo del 1712, si legge: "I fratelli Angelo e Giuseppe Bove, del signor Alessandro da Treviso hanno una casa signorile, il cortile, il brolo recintato da muro e una casa di contadini fatta di muro e coperta da tegole…". La villa passò quindi ai Vecellio e poi ai Gasparotto che nel 1800, la rimaneggiarono in parte, e quindi alla famiglia Maura. La villa ha forma asimmetrica: in un lato ci sono quattro finestre e nell'alto sette. Il giardino è situato nel retro ed è circondato da due barchesse: una grande e lunga, (un tempo questa era la stalla dei cavalli) e l'altra barchessa di dimensioni più ridotte. Nel timpano c'è lo stemma che raffigura il leone, simbolo di Venezia. Accanto l'immagine del bue che rappresentava la famiglia Bove.

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Sul lato opposto di Palazzo Bove, quindi al di là della strada ecco Palazzo Adami.

 

PALAZZO ADAMI

Già filanda Negretto nei pressi della chiesa dalla stridente facciata neogotica Maria Breda Negretto (madre di Emilio Lovarini), pioniera dell’imprenditoria femminile, aveva avviato una filanda e donato una campana per il campanile della parrocchia.

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Andiamo ora avanti per altri 100 metri. Sulla sinistra della Piazza ecco la Parrocchiale di Lovadina.

LA PARROCCHIALE DI LOVADINA

Verosimilmente più antica della abbazia di Santa Maria (il vecchio Monastero-Ospitale di Santa Maria) doveva essere una cappella dedicata in Lovadina a San Martino. Essa sorse come seconda filiale di Povegliano. L’attuale chiesa di Lovadina invece è un edificio che risale al 1856, quando, demolite le due vecchie chiese di Santa Maria e San Martino se ne eresse una più grande. Ma già nel 1918, le granate austriache che sconvolsero il paese nel maggio dello stesso anno distrussero il campanile e lesionarono la chiesa con l’irreparabile perdita dei dipinti di Noè Bordignon che erano posti sul soffitto. Delle opere elencate in una visita del 1778 non rimane quindi che qualche frammento di un ciclo dedicato a San Martino e una statua restaurata di Sant’Antonio da Padova.

Il 1920 è l’anno in cui iniziano i lavori di ricostruzione e nel 1924 sia la chiesa che il campanile sono completamente ricostruiti. Il 12 ottobre dello stesso anno poi, vennero benedette le tre campane e la campanella ancora esistenti. Nel 1927 venne acquistato l’organo che oggi noi possiamo ammirare ed ascoltare dopo il prezioso restauro. Porta il numero d’opera 383 ed è stato costruito da una delle più rinomate ditte dell’organaria italiana, la “Vincenzo Mascioni” di Cuvio (Varese), e mostra un prospetto di 39 canne. (Questa breve storia è stata tratta dal recente lavoro del Prof. Simionato pubblicato in occasione dei 150° Anniversario della Consacrazione della Chiesa)

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Ripristinato nel 1923, l’edificio, in stile neoclassico ad una sola imponente navata colla volta a vela, ha tre altari: quello maggiore nel presbiterio e i laterali nelle rispettive cappelle che insieme con due pale che esamineremo provengono dalla chiesa di San Nicolò in Treviso.

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L’interno della chiesa è costituito da una grande aula unica nella quale si aprono ai lati, mediante solenni arconi a tutto sesto, due nicchie che ospitano altari secondari ed una cappella presbiterale absidata dove troneggia l’altare maggiore. Lo spazioso e luminoso interno ha carattere tipicamente neoclassico, presenta le pareti improntate a grande semplicità, prive di colonne, scandite unicamente da eleganti cornici che ne sottolineano i volumi. La luce piove abbondante da nove grandi finestroni termali, uno in facciata, sei nell’aula, tre per lato, e due nel presbiterio, uno per lato.

LE OPERE

Il dipinto della Maria Vergine in gloria e Santi

(sulla cappella di destra)

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È un dipinto della scuola veneta del XVI secolo. Esso raffigura una Madonna in gloria che sovrasta alcuni santi tra cui Pietro e Paolo, Bernardino da Siena, Antonio da Padova. Secondo il Moschetti si tratterebbe di un’opera di Giacomo Apollonio di Bassano (1583-1654). Non si trova in buone condizioni purtroppo.

La Madonna della Cintura

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Opera moderna di Valentino Panciera-Besarel (1829-1902) sostituita ad una più antica quando si costruì la nuova chiesa. È la Madonna della cintura. Riguardo la devozione alla Madonna della cintura vi sono due principali tradizioni. La prima ha le sue origini in una leggenda scritta nel vangelo apocrifo attribuito a San Giacomo dove si parla di Maria che lasciò la sua cintura all’apostolo Tommaso. Il testo riferisce che Tommaso non era presente al momento dell’assunzione di Maria in cielo, ma arrivò in ritardo; la Vergine per prevenire l’incredulità di Tommaso gli avrebbe gettato la propria cintura. La leggenda acquista un certo significato considerando l’uso antico di cingersi i fianchi in vista di un avvenimento impegnativo. Questa usanza si riscontra in alcune letture bibliche. Ad esempio, il grande Giovanni Battista nella predicazione della penitenza in attesa del Messia, cingeva la cinghia sulle vesti di pelli di cammello (Mc 1,6). Ugualmente il profeta Elia si cingeva i fianchi con la cintura quando sfidava i falsi profeti di Baal (RE II,8). Ancora la cintura di cuoio serviva come armatura per l’uomo combattente (Sam 25,13).

La cintura decorativa faceva parte dei paramenti dei sacerdoti a servizio del Tempio. “Mettersi la cintura” e “cingersi i fianchi” ha assunto il significato di prepararsi a partire, mettersi in movimento, essere pronti. La consegna della cintura all’apostolo Tommaso si lega a queste interpretazioni: infatti Tommaso in seguito partirà per l’evangelizzazione dell’India, dove dovrà cingersi i fianchi a causa della lotta che incontrerà con i gruppi appartenenti alle altre religioni; il gesto della Madonna di gettare la cintura ancora ricorda la missionarietà dell’apostolo, che morirà martire per l’evangelizzazione. Pittori ed artisti hanno rappresentato in innumerevoli opere tale tradizione, specialmente dal Medioevo in poi.

La seconda tradizione, invece, riconduce l’origine del culto a Santa Monica, madre di Sant’Agostino desiderosa di imitare Maria anche nel modo di vestire. La festa della Madonna della Cintura viene celebrata la prima domenica dopo il 28 agosto, data in cui la Chiesa fa memoria di Sant’Agostino.

San Pietro Martire e Santi – Zanchi

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Si tratta di una pala posta sulla cappella di sinistra, dipinto che reca anche l’autografo del pittore Antonio Zanchi (1632-1722). Il soggetto è quello di sei santi domenicani tra i quali primeggiano le immagini di San Pietro Martire con Benedetto XI e la maestosa figura di San Domenico

La pala dell’altar maggiore – Paoletti

PALA DELL'ALTAR MAGGIORE CHIESA DI LOVADINA.jpeg

La vecchia pala dell’Assunta, sostituita da una di Antonio Paoletti (1833-1912), di cui può forse dirsi il capolavoro, fu salvata e ricollocata sull’altare maggiore.

Le opere di Noè Bordignon

Le opere pittoriche della chiesa si completano con altre decorazioni ad affresco opera di Noè Bordignon; ai lati esterni dell’arco del presbiterio ci sono due episodi della vita di Cristo e cioè: la resurrezione di Lazzaro e l’ingresso in Gerusalemme.

RESURREZIONE DI LAZZARO CHIESA DI LOVADINA.jpeg
INGRESSO IN GERUSALEMME - CHIESA DI LOVADINA.jpeg

Le immagini degli Evangelisti sulle quattro lunette laterali

Sono opera di Pigazzi, artista di Venezia

PIGAZZI 1.jpeg
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Vista la Parrocchiale di Lovadina, usciamo nel piazzale antistante e poi sulla strada ove circa 100 metri più avanti notiamo una villa.

VILLA EX ASILO PARROCCHIALE

Si tratta di un complesso di fine seicento appartenuto in origine al trevigiano Ludovico Bertelli. Un tempo qui vi erano delle barchesse e una recinzione a sasso ora perduta.

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Tornando ora sui nostri passi e poco più avanti sulla piazza a sinistra, ecco i luoghi del vecchio cinema nel muro del quale è incastonata una bella immagine sacra. La Piazza di Lovadina poi sembra proprio allinearsi con i suoi edifici più antichi e cioè Borgo Mas lungo molto probabilmente miliari della Claudia Augusta ed i particolare il XVIII e il XIX.
BORGO MAS LOVADINA
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Ora andiamo avanti sulla principale per 150 metri sino a giungere all’incrocio tra via Isaia Irti e via IV Novembre. Davanti a noi una immagine di Madonna incastonata tra le mura di un’imponente abitazione.
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Teniamo ora la destra: ci stiamo addentrando nel lungo borgo di Lovadina caratterizzato (quasi un unicum per queste zone) da una architettura campestre fatta di poche cose: il sasso, i muretti rustici, gli intonaci grezzi; pare di stare in un borgo di tempo medievale.
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Il nostro viaggio in via Isaia Sarti inizia da qui, e dobbiamo dire è sorprendente, quantomeno meno per una piccola realtà come quella di Lovadina. Palazzi, vecchie case, vicoli nei lati stretti, corti chiuse e pieni di storia. Del resto anche da questo si vede chiaramente che questo paese, relegato a frazione dopo l’avvento della “Pontebbana” e di Spresiano, era decisamente uno snodo fondamentale in passato.

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Ed ecco allora, Casa Carobolante, dalla simmetria perfetta (a camino centrale fra due prolungamenti sul retro e, sul lato opposto la linea di edifici convergenti sul grande arco a bugnato di casa Canal. Ecco poi Casa Negretto Irti (Meneghetti), edificio lineare con facciata a frontone un tempo terminante a timpano su area cinta da muro in ciottoli.

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Poi ancora la casa di Borgo Sasso, fabbricato della seconda metà del cinquecento a due piani con fori ovali corrispondenti alla soffitta. L’ingresso è coronato da due camini alla veneta e da un affresco araldico; sembra accogliesse un tempo il servizio di posta.

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Casa Girardi, piacevole complesso a corte chiusa con impianto centrale a frontone con archi murati in facciata e ali indipendenti addossate. Casa Zamberlan, già Bianco sulla strada per Maserada; una casa colonica del primo ottocento con prospetto interno a finto bugnato.

All’incrocio con via Colombo e sulla sinistra della strada ecco il tempietto della Madonnetta.

IL TEMPIETTO DELLA MADONNETTA

TEMPIETTO DELLA MADONNETTA LOVADINA.jpg

Si tratta di un sacello religioso risalente all’epoca veneziana. L’edificio, leggermente rialzato dalla strada, presenta un piccolo colonnato con capitelli posto davanti all’ingresso e sormontato da un timpano. Dietro al colonnato si evidenziano paraste intonacate poste ai lati dell’ingresso: Il tetto è a due falde con manto di copertura in coppi di laterizio Lo si ricorda all’interno di un documento risalente al 1759 laddove si fa cenno ad una convenzione fra tal Venturino Grattarol e il monastero di Murano in ordine alla competenza a raccogliere le offerte per questo sacro luogo.  Il tempietto è stato oggetto di una profonda opera di ristrutturazione nel 2013.All’interno la “Pala della Madonna col bambino” di Giorgio Meneghetti.

Proseguiamo quindi in via Isaia Irti sino a giungere dopo 150 metri nei pressi dell’Oratorio di San Bartolomeo e San Giovanni che vedremo sulla nostra sinistra.

ORATORIO SAN BARTOLOMEO E GIOVANNI

ORATORIO DI SAN BARTOLOMEO E SAN GIOVANNI A LOVADINA.jpg
ORATORIO SAN GIOVANNI BATTISTA LOVADINA (1).jpg

L’oratorio di origine settecentesca, è opera di Angelo Da Ponte ed è vicino proprio ad una sua casa ora scomparsa. Fu costruito ovviamente su concessione dell’allora Vescovo Giambattista Sanudo. E’ stato per molti anni un oratorio privato. Appartenne poi ai Costantini Lazzaris che vicino avevano anche depositi di legname e una segheria, ai Sormani ed infine agli Adami che lo donarono più tardi alla parrocchia. Per qualche anno svolse anche la funzione di vera e propria chiesa e nel 1918   il fabbricato funge da rifugio per i profughi dopo la Prima Guerra Mondiale. Da evidenziare in particolare la statua di San Giovanni posta sopra il frontone che proviene da Ca’Ballarin e ne giustifica quindi il doppio titolo a questo oratorio.

Gli Interni

 

Lo spazio interno è illuminato da due finestre di forma rettangolare poste sulla facciata principale, due finestre semicircolari poste sulle facciate laterali ed una piccola finestratura ad arco posta dietro l’altare maggiore. L'altare fisso è sopraelevato di alcuni gradini rispetto al resto della sala e su di esso sono state collocate tre statue. Il soffitto è rifinito in intonaco bianco e presenta una decorazione floreale e con motivi geometrici. L’aspetto attuale lo si deve ad un’importante opera di restauro conclusasi nel 2015.

Visto l’oratorio andiamo avanti per altri 250 metri. Siamo all’incrocio tra via Lovarini e la S.P. 57. Proprio di fronte a noi ecco il capitello di Casa Bisello e Casa Bisello.

CASA BISELLO

Si tratta di una semplice costruzione quadrata a pianta veneziana con balaustra a colonnine in pietra. All’interno un bel medaglione in gesso con il Leone di San Marco.

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IL CAPITELLO DI CASA BISELLO

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Nei pressi del “Palazzo Biseo” (18° secolo) molto probabilmente più datato (16°-17° sec.), vi è questo capitello. Non si trova qua da sempre :  è stato spostato qui nel 1970 con la costruzione dell’autostrada A27 e il cavalcavia e Via Matteotti.  Uno spostamento di 15 metri, ma molto delicato che fortunatamente non ha avuto gravi conseguenze strutturali.  Già nei primi anni 40 la finitura artistica esterna aveva  perso molto della sua raffinatezza originale, l’incuria poi in cui è stato abbandonato all’invasione delle ramaglie delle piante ed erbacce hanno contribuito in maniera devastante alla rovina delle parti decorative del manufatto. L’Idea del recupero di questa bella struttura è scaturita dopo il restauro del Capitello della Madonnetta terminato nel gennaio 2014. Ne è coordinatore ed ispiratore Sante Torresan. Di particolare interesse nel restauro,  il recupero di tutti i merletti e pietre di cui si intravedevano la formazione particolare solo in qualche punto, il recupero  poi  del tetto e delle cancellate. Un lavoro davvero arduo, un lavoro che ha richiesto molto tempo (circa 4 mesi) . Il tetto vero gioiello di architettura, ultra danneggiato dalle radici delle piante è stato smantellato completamente e rifatto seguendo le immagini scattate prima del restauro. Il pavimento è stato poi  demolito e ridisegnato con spirito religioso inserendo una croce su modello della croce di Papa Francesco dentro a un anello corona, il tutto con pietra naturale a due colori e inserti in ottone. Infine l’immagine della “Sacra Famiglia” che era collocata all’interno, era molto danneggiata forse perché una stampa, così si è pensato di commissionarne una “in affresco”.

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Proseguiamo quindi su via Barcador: stiamo tornando verso il Palazzon. Qui si aprono spazi ampi e corsi d’acqua e canali artificiali in ogni dove.
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Il nostro viaggio prosegue con questo paesaggio “largo” per 1,8 km. Siamo ancora una volta nei pressi del “Palazzon”. Invertiamo la rotta girando a sinistra in via Tagliamento. Siamo nuovamente sulla direttrice di Spresiano. Pedaliamo per altri 1,4 km andando quindi a sinistra sulla stradina stretta ed alberata che si chiama via Fornasette. Via Fornasette è una via asfaltata per la prima parte almeno molto alberata e intrisa di siepi abbondanti. Pedaliamo per 1,2 km. Ora a destra in via Matteotti per 500 metri. Da qui cominciamo ad affrontare il cavalcavia per 600 metri. Ora a sinistra in una stradina, via Corazzin. A sud per 1,1 km. Ecco ora un incrocio che è quello con via XXIV Maggio. Sulla nostra destra al di là della strada un capitello. Ora procediamo dritti per altri 1,3 km e quindi giriamo a sinistra in via Isonzo. Circa 1,1 km più avanti sulla nostra sinistra ecco lo scorrere della Piavesella di Nervesa. Sono questi luoghi carichi di storia e legati in modo indissolubile alle vicende e alle proprietà dei nobili Gritti. Siamo a Visnadello.
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VISNADELLO (l’assemblea dei capifamiglia e Capo Rusio)

Detta anticamente Campo Rusio (toponimo localizzabile, secondo i vecchi estimi alquanto a sud del paese attuale), forse riferimento ai barbari Rugi, (I Rugi furono una popolazione germanica, che nel VI secolo si unirono agli Ostrogoti nella conquista d'Italia venendo stanziati dal re ostrogoto Teodorico, assieme ad altre etnie, tra Venezia e l'Istria). il toponimo attuale deriverebbe dalla nobile famiglia Vicinatelli (così sostiene il Semenzi nel 1864) o, più probabilmente, dalla vicinia (in latino vicinatus e in veneto visnà), cioè l'assemblea dei capifamiglia del villaggio. L’Agnoletti la ricorda come piccolo vicinato, regola e cappella di Povegliano. I documenti relativi a Visnadello, con le solite connessioni religiose e civili, giungono sino a noi attraverso la regola benedettina sul finire del primo millennio. L’influenza monastica sul villaggio di Visnadello si irradiò da Verona, centro del cristianesimo nella Venezia occidentale e precisamente dalla abbazia di fondazione longobarda e di rifondazione carolingia che dall’ 807 conserva le spoglie di San Zeno. Stiamo parlando della abbazia di San Zeno. Nel 1021 Visnadello è  infatti ricordata tra i doni dell’Abbazia di S.Zeno in Verona. (In loco qui dicitur Campo Rufio). Visnadello appare quindi legata ai Benedettini sin dalla fondazione della cappella eretta con il contributo determinante della piccola comunità ed intitolata a San Giacomo. Il controllo da parte della abbazia di San Zeno si rafforzò poi con un diploma di Federico I il Barbarossa ove il paese è citato come “ in Vicinatello ecclesia S.cti Jacobi”. Nel 1163 qui si intuisce quindi la presenza di una piccola comunità rurale che, al pari delle regole medievali traeva dalla “vicinia” un piccolo elemento di autogoverno. La vicinia pubblica si fondava sulla adunanza dei capifamiglia e rappresentava l’organizzazione primaria della proprietà collettiva e quindi di una prima piccola forma di democrazia. Convocata al suono della campana, sotto il portico della chiesa o all’ombra di un albero, chiamava a deliberare su questioni quali interessi patrimoniali, contribuzioni fiscali e questioni attinenti alla autonomia. Alla pratica concorrevano soggetti amministrativi quali “il meriga”, una sorta di sindaco dell’epoca, e “gli uomini di comun”, una sorta di assessori.

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I  CONTI GRITTI E IL MERCATO DI VISNADELLO

Come con i Giustiniani a Spresiano, la presenza dei Gritti costituì per Visnadello realtà da cui no si può prescindere. I Gritti furono una famiglia patrizia veneziana, annoverata fra le cosiddette Case Nuove. Storicamente, non è certo se questa famiglia sia discesa dai primi abitanti della laguna veneta o se provenga dall'isola di Creta; secondo la leggenda, tuttavia, i Gritti si rifugiarono a Venezia da Altino all'epoca dell'invasione degli Unni, e vennero compresi nel ceto patrizio fin da primi anni della Repubblica, alla quale avrebbero dato antichi tribuni. Nella prima metà del secolo XVI diede alla Repubblica anche un dogeAndrea Gritti, grande assertore della potenza repubblicana in armi e morto a ben 80 anni nel 1538. Fu un suo tardo nipote ed omonimo ad acquistare a Visnadello ben 26 campi già comunali creando così le basi per la supremazia della propria famiglia in Visnadello. Ai 26 campi se ne aggiunsero più tardi altri 400, costituendo così sul villaggio un vero e proprio padronato diffuso. Ma il merito maggiore di questa casata fu l’istituzione del mercato nel 1767. Con gli Asburgo i Gritti ebbero la conferma del loro rango nobiliare, ma nei rivolgimenti politici del 1848 il Conte Giovanni Gritti fu attivo nella resistenza trevigiana e accorse tra le fila di Manin. Visti gli eventi quindi fu costretto all’esilio. Il mercato si tiene ancora oggi nella giornata di Giovedì.

Riprendiamo la nostra pedalata. Siamo nei luoghi accanto alla Piavesella ove aveva sede un lazzaretto.

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Procediamo ora per altri 100 metri sino ad uscire sulla Pontebbana. Lì giriamo a destra. Circa 100 metri più avanti una cancellata ci fa intuire la presenza di una grande villa: è Villa Gritti. 

VILLA GRITTI (FINE XVII SECOLO)

La famiglia Gritti come abbiamo detto  è documentata a Visnadello a partire dal 1644, quando Andrea Gritti, discendente dall'omonimo doge, acquista nella zona alcuni appezzamenti. Appartenenti al ramo di San Marcuola, col tempo ampliarono notevolmente la propria influenza sul territorio, acquisendo poteri in materia giudiziaria e civile analoghi a quelli che avevano i Collalto nella vicina Susegana. La villa fu abitata dalla famiglia a partire dal 1672. In origine dimora cinquecentesca dei Marcello, le antiche raffigurazioni dimostrano che assunse l'aspetto attuale progressivamente, con il succedersi di ampliamenti e rifacimenti. Attualmente, il complesso risulta notevolmente ridotto. Il perimetro del parco è stato modificato dalla recente espansione urbana, mentre degli edifici resta solo la casa padronale e, adiacenti, un piccolo corpo di fabbrica e un altro volume, ampliamento delle cucine ( un tempo aveva due barchesse laterali). Presenta due piani completi più sottotetto e, al centro, sopra la cornice a gronda dentellata, un volume timpanato. La facciata principale si sviluppa più in larghezza che in altezza (diversamente dalle raffigurazioni d'epoca) e appare tripartita simmetricamente, con tre aperture ravvicinate nella parte centrale e due più distanziate per ogni lato (motivo ripetuto per tutti e tre piani). La parte centrale spicca per il balcone in pietra, su cui si affacciano le tre monofore del salone centrale. Gli interni presentano travature alla sansovina in parte dipinte. Dal salone d'ingresso si accede al piano superiore attraverso uno scalone con balaustra in pietra d'Istria.

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Procediamo sulla Pontebbana. Circa 100 metri più avanti eccoci al semaforo. Lì teniamo la destra per entrare in via Monsignor Ghimenton. Si prosegue così per altri 300 metri. Dalla rete di recinzione ecco la nostra attenzione è richiamata da un complesso rosso veneziano: è Villa Torresini.

VILLA TORRESINI (XVII SEC.)

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(foto di Gianni Desti)

In origine residenza degli amministratori dei beni dei Gritti, nel Ottocento, è stata notevolmente rimaneggiata, con l'aggiunta di elementi che ne hanno appesantito l'aspetto. Le raffigurazioni settecentesche la presentano più stretta e priva del frontone centrale. I due piani e il sottotetto sono divisi da cornici marcapiano e sono sovrastati dal tetto a padiglione. L'ingresso si trova al primo piano ed è accessibile grazie a una scala addossata sulla parete di sinistra. L'entrata è nascosta da un avancorpo recente, in netto contrasto con le linee dell'edificio. Ora è di proprietà parrocchiale ed ospita attività ricreative e culturali.

Poco oltre una rotonda. La facciamo tutta invertendo quindi la marcia entrando quindi a destra sul retro della Parrocchiale di Visnadello.

LA PARROCCHIALE DI VISNADELLO

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La chiesa come la vediamo adesso non è  molto antica. La Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo Apostoli infatti viene ricostruita nel 1923 dall'architetto Domenico Rupolo in stile neo-romanico, dopo gli ingenti danneggiamenti subiti dalla precedente chiesa parrocchiale durante la Prima Guerra Mondiale.  E’ in questo periodo che la chiesa viene pure usata come magazzino dalla nostre truppe. Sono le schegge austriache a lesionare in buona parte la chiesa originaria nonché a portarsi via il tabernacolo e qui fu anche asportata la pala dei SS. Giacomo e Filippo.  

La vecchia Chiesa

Stiamo parlando di una chiesa – cappella di cui si ha notizia da un disegno del 1587 che mostra una chiesetta con portico e addossato alla quale un campanile. Chiesa povera ed essenziale e persino profanata da un fatto di sangue nel 1590 tant’è che venne in seguito riconsacrata dal Vescovo. E’ di questo periodo la pala attribuita a Palma il Giovane o alla sua scuola raffigurante i santi Filippo e Giacomo ai piedi della Vergine.  Fu con il patrocinio dei Gritti che la chiesa assunse la forma mantenuta sino al primo dopoguerra. Una curiosità: presentava la facciata principale ricolta ad est, esattamente il rovescio di come oggi si presenta data che è direzionata sull’asse ovest-est.  La Chiesa fu completata nel 1673 con una modifica curiosa per la nostra epoca: confessionale e porta del campanile dovevano essere spostate onde evitare che chi doveva svolgere queste funzioni passasse nell’area dei banchi destinati alle donne. Importanti adeguamenti e restauri si ebbero poi tra il 1761 ed il 1767.

Il campanile è un volume autonomo in muratura di laterizio, intonacato col la stessa colorazione della chiesa, costruito nelle immediate vicinanze della stessa. La muratura è costituita da mattoni pieni.

La struttura e gli interni

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L'edificio ora presenta un'unica navata - interrotta da un transetto con bracci absidali- e termina con il presbiterio, rivolto ad est e rialzato di alcuni gradini rispetto alla navata. L'ingresso principale, rivolto ad ovest, si trova al centro della facciata neo-romanica con mattoni a faccia vista e zoccololatura e decorazioni in marmo. La facciata è suddivisa verticalmente in tre fasce: quella centrale, più ampia, contiene il portale d'ingresso, riccamente decorato, sormontato da una finestra trilobata. Ciascuna fascia laterale presenta una finestra arcuata. La porzione sommitale della facciata, intonacata, è collocata sopra una fila di archetti decorativi in mattoni. La navata, che si sviluppa con un'altezza massima di 25 m, presenta nella porzione più vicina all'ingresso due cappelle speculari. La copertura della navata centrale è realizzata con capriate in legno. La copertura della zona del presbiterio e dei bracci laterali sono costituite da volte a crociera, sormontate da capriate lignee.

Le decorazioni e le opere di Mario Botter

Nelle pareti, su una fascia sottostante alle finestre ad arco, si osserva una decorazione pittorica con disegni floreali, alternati ad effigi dei Santi Apostoli, di Sant'Antonio e San Francesco. La decorazione viene eseguita nel 1951 da Mario Botter.

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I mosaici di Mario Tuoni

Nelle pareti laterali della navata principale sono ricavate in bassorilievo delle arcate in mattoni e delle paraste in marmo Rosso di Chiampo. In ciascuna parasta è collocata una tappa della via Crucis mosaicata. I mosaici vengono eseguiti nel 1941 da Gregorio Bortolotti e Renzo Petrovich, mosaicisti di Murano, su disegno di Mario De Tuoni.

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Le vetrate di Lino Dinetto

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Usciamo dalla chiesa, affrontiamo il viale alberato ed usciamo sulla Pontebbana girando ora a destra e quindi subito a sinistra in via Fratelli Bandiera. Avanti circa 50 metri e quindi a sinistra. Di lì a 100 metri sulla nostra sinistra il parco di Villa Sina e davanti a noi la villa stessa.

 

VILLA SINA

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Si tratta di una costruzione del 1910 (l’architetto è Sariol) costruita in stile noe-gotico veneziano. Inserita in un parco con imponenti alberi secolari (alberi di pino cedro di notevoli dimensioni, ippocastani e pioppo bianco). Il parco si estende su un’area di 10.000 mq nello spazio antistante la villa È di proprietà comunale a seguito del lascito testamentario della sua ultima proprietaria Luigia Sina.

Torniamo sui nostri passi e usciamo da dove siamo entrati. Ora a sinistra su via G. D’Annunzio. Circa 100 metri più avanti usciamo a sinistra in via Fratelli Bandiera. Di lì avanti per 100 metri e ancora a sinistra su via Francesco Baracca. A sud per 250 metri e quindi a destra. Avanti altri 100 metri e quindi a destra su via Arcade. Così a nord per 1,6 km e quindi al bivio tenere la destra. Entriamo in via Gravoni che più avanti diventerà via Fonfa. Avanti per 1,5 km sino ad incrociare via Giuseppini. La attraversiamo e avanti a noi via Marconi che prenderemo e faremo per 150 metri sino a ritrovare la statale Pontebbana. Sulla nostra destra un capitello dedicato alla Madonna.

IL CAPITELLO ALLA MADONNA

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Attraversiamo la Pontebbana e dirigiamoci in via Cesare Battisti. Andiamo avanti per 200 metri e alla rotonda prendiamo la terza uscita dirigendoci quindi a sinistra. Avanti ancora 100 metri. Siamo in via Corazzin. Teniamo la sinistra.  Avanti 150 metri. Siamo in  Borgo Cesolle.

BORGO CESOLLE

Il Borgo si chiama così in quanto richiama la presenza in loco di piccole siepi (le siesoe). Questa l’origine del toponimo. Altra ipotesi sarebbe quella che vuole il toponimo esser legato alla presenza in zona di capitelli e tempietti. L’avere i conti Giustiniani (di cui parleremo più avanti) ricostruito la chiesuola del Carmine diede probabile origine a tale denominazione assunta in veste dialettale che rende e traduce il termine italiano in “chiesuole, cesolle cesoe”. E’ in questi luoghi che da molti anni si fa festa : ecco la sagretta della Beata Vergine del Carmelo.

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CASA TEORO

All’incrocio di via Corazzin con via Battisti, troviamo casa Teoro (oggi completamente ristrutturata). Tipico complesso rurale già in sasso.

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CASA TEORO OGGI.jpeg

(ieri e oggi)

Ora andiamo a destra in Via Alessandro Manzoni. La percorriamo per 350 metri. Ora a sinistra per altri 50 metri e quindi ancora a sinistra per altri 350 metri. Siamo in Via Lazzaris. Giriamo quindi a sinistra e andiamo avanti per altri 450 metri. Ci troviamo nei pressi di Villa Giustinian-Recanati.

VILLA GIUSTINIAN-RECANATI

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E’ la tipica villa eretta da nobili veneziani in funzione di residenza estiva. Sembra infatti che i Dolfin, primi proprietari della Villa, vi soggiornassero uscendo da Venezia in particolare per partecipare alle grandi cacce del tempo nelle vaste pianure e nei boschi dei principi Collato. Fu eretta sul finire del secolo XVI. I primi proprietari quindi sono i Dolfin. Ben presto, come precisa l’Agnoletti, la villa passa nelle proprietà della famiglia Giustinian-Recanati. Una insegna barocca posta sulla facciata che dà verso il parco, quasi a significare la contemporanea presenza delle due famiglie nel possesso dell’edificio, accosta in un unico scudo i due relativi stemmi gentilizi: il delfino (i Dolfin) e l’aquila coronata bicipite (i Giustinian). Dalle semplici linee secentesche bene inserite nel vasto parco circostante (parte del quale oggi è stato riattivato con destinazione pubblica), dove natura e arte si fondono attorno alla cappella, alla grotta e al laghetto artificiale. Testimonianza di architettura lasciata, a partire dal Cinquecento, dalla penetrazione veneziana in terraferma. Simbolo delle facoltà fondiarie dei Conti, consolidate in una commenda amministrata, dopo l'estinzione della dinastia, dall'Ordine Militare di Malta, il complesso appare ancora suggestivo, nonostante le stigmate del tempo e dell'abbandono, costituendo uno degli angoli più caratteristici della vecchia Spresiano. Da citare il fatto che questa villa, come molte altre per la verità, fu sede durante la prima guerra mondiale di un ospedale militare di riserva e nell’ultimo conflitto ebbe insediati anche comandi tedeschi e poi alleati.

Il parco e la ghiacciaia e le barchesse

Il vasto parco circostante è ricco di alte conifere di piante rare ed esotiche. E poi lì ancora un suntuoso laghetto artificiale . Lì ancora nel folto degli alberi, si nasconde una ghiacciaia che simula una grotta: costruzione di rocce, da ricordare in particolare per la sua perfetta imitazione della natura. Lo spazio è dovuto al merito particolare del lavoro di Luigi Bellini, morto tra l’altro molto giovane. Accanto alla villa, sorgevano barchesse, scuderie e cantine e abitazioni per i dipendenti

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Ora andiamo avanti su via Menegazzo dopo esser transitati su piazzetta Gustinian, e avanti per 150 metri torniamo sulla statale Pontebbana. Lì giriamo a sinistra e andiamo avanti per 50 metri. Ora a sinistra in via Manzoni. Avanti per 150 metri e sulla nostra sinistra l’Oratorio di Villa Giustinian.

L’ORATORIO DI VILLA GIUSTINIAN

Si tratta di un vero e proprio gioiellino d’arte settecentesca, ma rifatto nel primo Ottocento da Antonio Diedo, con pala di Pietro Della Vecchia (1644), rappresentante la Vergine del Carmine la cui solennità richiama, ogni 16 luglio, l'antica "sagretta" nel vicino colmello Cesolle.

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Qui si chiude, dopo ben 50 km di pedalata, il nostro viaggio nell’ager Supercillianus!

Pala del Sant’Antonio del De Lorenzi - CHIESA DI SPRESIANO.jpeg
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