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SULLE TRACCE DELLO ZERO

" DA SAN MARCO DI RESANA A MOGLIANO VENETO"

Caratteristiche tecniche

lunghezza: 34 km

tempi di percorrenza: 2 ore e 30 minuti

Tutto parte da via Kennedy e ci stiamo inoltrando verso l’abitato di San Marco di Resana. Notevole il borgo che ne delimita  il centro storico con la parrocchiale e le vecchie case. Dietro la chiesa in direzione sud ve ne è una di veramente curiosa

VILLA BAREA detta LA CUBA

Secondo Giampaolo Bordignon Favero il soprannome "La Cuba" indicherebbe un edificio precedente, forse trecentesco, che aveva le imponenti forme di un mastio (i corpi di guardia dell'esercito romano). Nei secoli successivi la costruzione subì importanti cambiamenti che tuttavia non ne modificarono l'aspetto austero. Sempre lo stesso autore ritiene che prima che la villa appartenesse ai Barea, nobili castellani attestati a San Marco sin dal 1561, essa fu dei Corner e poi degli Zen. In realtà, i riferimenti più antichi riguardanti l'edificio sono due mappe della fine del Seicento che lo rappresentano con forme molto simili alle attuali: un volume alto e compatto dalla facciata tripartita cui si affianca sull'angolo nordovest una torretta cilindrica contenente una scala a chiocciola.  

Una volta ritornati sulla principale, e andando in direzione ovest per circa 200 metri ci troveremo di fronte a un caratteristico capitello a segnare l'incrocio: il Capitello di San Marco

IL CAPITELLO DI SAN MARCO

Indicato già in una mappa napoleonica del 1812 (ma è probabilmente più antico), venne demolito e riedificato attorno al 1890. La facciata imita quella della parrocchiale; all'interno  un ciclo di affreschi di Bruno Gherri Moro e un trittico più recente di Angelo Gatto, qui collocato dopo l'ultimo restauro che è avvenuto nel 2000. Lo troviamo alla fine di Via Cadorna a fungere da naturale “crocevia”. E’ una sorta di ideale chiusura architettonica della piazza che inizia con il complesso della chiesa parrocchiale, una sorta di chiesa in piccolo; curiosa è infatti la sua struttura che richiama chiaramente la facciata della chiesa.

E dopo aver assaporato la tranquillità di questo paesello di “poche anime”, continuiamo il nostro viaggio! Superata la borgata, ed entrati in via C'adorna, proseguiamo fino al capitello di San Marco. Lì giriamo a destra in via Montegrappa. La percorriamo per circa 300 mt. sino a giungere in prossimità del cimitero e avendo davanti a noi il piccolo capitello votivo dedicato a Sant'Antonio da Padova. Entriamo quindi in via Cavalli. Procediamo per altri 300 metri fino a passare sopra un piccolo ponte di cemento. Alla nostra sinistra ecco allora, francamente deludente, uno dei fontanassi del fiume Zero. Davanti a noi via del Monastero che faremo prima in direzione est e quindi in direzione sud per circa 1 km. Siamo ora in via Luigi Cadorna. La principale che faremo per circa 500 metri girando a sinistra. Al nuovo incrocio sulla regionale giriamo a sinistra e poi subito dentro a destra per via Gallinelle. Procediamo per circa 400 metri. Ora lo Zero scorre alla nostra sinistra. All'altezza di un ponte noi teniamo ora la destra seguendo ancora il corso del fiume. Fatti altri 250 metri ci troveremo di fronte ad un cartello che indica una proprietà privata. Scendiamo dalla bici (chiediamo permesso) e procediamo a piedi per circa 350 metri.  Giriamo ora a sinistra e procediamo in direzione nord per circa 200 metri. Ecco allora di nuovo lo Zero, qui già importante. Altri 150 metri e andiamo a destra sulla stradina. I paesaggi che qui affronteremo per circa 1,5 km sono davvero unici: qui non c'è nessuno!

Arriviamo quindi nei pressi di una abitazione che troveremo alla nostra destra. Proseguiamo dritti ( sì proprio dritti ) sui confini di un terreno e sotto la siepe. A mano la bici e attenti ai rovi ( siamo ancora nella proprietà privata ). Facciamo così circa 300 metri.

Andiamo poi a destra in direzione sud per circa 100 metri e poi a sinistra per altri 100 metri. Attraversiamo i fossi ed eccoci sull'asfalto di via Santa Brigida. Ora andiamo a destra. Circa 100 metri più avanti andiamo a sinistra seguendo le indicazioni delle sorgenti del Sile. Così per circa 200 metri e quindi ancora dritti. Stiamo andandoci a riprendere lo Zero, fiume che ritroveremo dopo circa 100 metri nei pressi di una importante ansa.

Proseguiamo per di qui per circa 1 km sino all'incrocio. Ora andiamo dritti per circa 800 metri e al nuovo incrocio sul ponte teniamo la destra. Avanti così per altri 800 metri sino ad uscire su via Munaron. 

Alla nostra destra un capitello votivo con Madonnina. Percorriamo questa via girando a destra per circa 600 metri ( al ponte un nuovo incrocio con il nostro fiume ). Proseguiamo ancora a sud per circa 750 metri sino a girare a sinistra su via Foscolo. Procediamo su via Foscolo per circa 800 metri, quindi a sinistra ( davanti a noi poco oltre un capitello.)

Siamo a Menaredo. Ora avanti per circa 1,5 km sino ad uscire a sinistra in via Pignan. Altri 300 metri e su a sinistra. Un nuovo incontro con il fiume e uno dei suoi mulini. Siamo a Badoere.

Altri 800 metri e dritti in via Alessandro Marcello. Una mura alla nostra sinistra e 500 metri dopo eccoci a Zeriolo, sul retro della rotonda di Badoere. Lì giriamo a sinistra per circa 100 metri e quindi a destra sulla provinciale. Eccoci quindi alla rotonda di Badoere.

Andiamo avanti, attraversiamo il semaforo e quindi dopo circa 900 metri e dopo aver attraversato il ponte sullo Zero eccoci in via Zeriolo. Una via importante che percorreremo per circa 900 metri sino a salire, attraversando la strada, sulla Treviso-Ostiglia. 

Uno sterrato fantastico sulla sede della vecchia ferrovia e di nuovo, all'inizio, il fiume. Altri 800 metri e quindi a destra su via Bosco per altri 500 metri circa sino al ponte.

Lì prendiamo lo sterrato correndo sul lato sinistro del fiume per circa 900 metri, un nuovo ponte e quindi avanti per altri 100 metri. Andiamo ora sinistra per circa 400 metri e prendiamo a sinistra via Tiveron. Ancora 400 metri e quindi a destra. Altri 700 metri e quindi a destra in via Padovana. Circa 1,5 km in direzione sud e quindi a sinistra e quindi altri 150 metri e a sinistra ancora in via Corniani. Procediamo per circa 1,2 km sino a giungere ad un incrocio ben definito da un capitello votivo sulla nostra sinistra. 

Siamo ormai nei pressi di Sant'Alberto. Giriamo quindi a sinistra sino a raggiungere il centro del paese dopo circa 700 metri di pedalata.

 

SANT'ALBERTO DI ZERO BRANCO

Sant'Alberto è una frazione del comune di Zero Branco. La località si trova al centro del territorio comunale, confinando a sudest con il capoluogo e ad ovest con Scandolara. Corsi d'acqua principali sono lo Zero, che scorre subito a nord e il rio Vernise, suo affluente, a sud. Già parte del comune di Treviso, sotto la Serenissima rimase sottoposto alla podesteria di quella città, compreso nel quartiere detto Mestrina di Sopra (mentre Zero passava a Mestre). Durante questo periodo, la località fu suddivisa nei colmelli di Sant'Alberto Chiesa, Sant'Alberto Albera e Sant'Alberto Bertoneria. Con la caduta di Venezia, Sant'Alberto divenne comune autonomo (con frazioni Rio San Martino e Scandolara) inquadrato nel dipartimento del Bacchiglione. Poco dopo l'istituzione veniva soppressa e smembrata fra i comuni di Zero Branco e Scorzè.

 

Curiosità: Giacomo Casanova (1725-1798): il celebre avventuriero visse a Sant'Alberto in una modesta casetta della famiglia Corniani.

LA PARROCCHIALE DI SANT'ALBERTO

È la parrocchiale del paese, anticamente filiale della pieve di Zero. Secondo il Fapanni, in origine le era annesso un convento di carmelitani: si spiegherebbe così l'inusuale intitolazione a Sant'Alberto di Gerusalemme, peraltro confuso con Sant'Alberto degli Abati (di qui la festa patronale il 7 agosto anziché il 14 settembre). L'edificio fu ricostruito e riconsacrato nel 1621 e ancora nel 1883. L'interno è ripartito in tre navate e conserva quattro altari compreso il maggiore, in legno dorato.

Lasciamo ora la chiesa alla nostra sinistra e procediamo in direzione nord su via Albera. Dopo circa 250 metri eccoci nei pressi del Mulino di Sant'Alberto, mulino che si fa notare per la sua imponente ruota a "vite infinita".

Usciamo ora all'incrocio e procediamo a sinistra per circa 50 metri. A destra ecco via Bettin. Pedaliamo per circa 900 metri  ed eccoci quindi in via Mazzocco andando gìù a sinistra. E' circa 800 metri più avanti che incontreremo di nuovo il fiume. Attraversiamo il ponte e procediamo a sud per altri 300 metri. Al nuovo incrocio teniamo la sinistra e procediamo sulla principale per circa 1,2 km. Nei pressi del semaforo qui giriamo a destra ed entriamo in piazza a Zero Branco. Alla nostra destra il municipio e alla nostra sinistra il centro storico dominato, alla fine dell'area pedonale, dalla chiesa parrocchiale.

UN PO' DI ZERO

La storia di Zero Branco sembra avere radici antichissime: abitata in antico da genti paleovenete fu oggetto della conquista militare romana nel II sec. A.C. e assegnata al territorio del municipium romano di Altinum. Il territorio, in origine coperto interamente da foreste, fu oggetto di una profonda metamorfosi ad opera dell’azione civilizzatrice di Roma che sottopose buona parte del territorio a massicci lavori di centuriazione di cui rimane tuttora traccia nell’orientamento dei terreni agricoli. Lo stesso toponimo Zero attestato come Zayro e come Iairus e Iarus in altri documenti di epoca medioevale deriverebbe da un nome di persona (Iarius, Diarius, Darius), forse assegnataria dell’antica distribuzione coloniale o comunque titolare di un possedimento all’interno del territorio. Dal nome del territorio poi sarebbe derivato quello del fiume, Zero, che ancora oggi l’attraversa. Branco, invece, è stato aggiunto molto tempo dopo e preso a prestito da uno dei colmelli del capoluogo: significherebbe “diramazione di Fosso o di canale”. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e l’inizio della travagliata epoca medievale, il territorio fu travolto da un continuo susseguirsi di guerre e invasioni nel quadro del periodo di generale instabilità che caratterizzò l’Europa. Nel XII secolo il territorio giunse sotto il controllo del libero Comune di Treviso, quindi passò intorno al 1312 alla dinastia scaligera dei Della Scala alla quale vennero strappate da Venezia dapprima per pochi anni, nel 1338, poi in via definitiva nel 1388. A quel tempo il territorio era suddiviso in due parti dette “regule” (Fontane di Zero e Montiron di Zero) le quali assieme a molte altre “regule” tra cui quelle di S’Alberto e Scandolara, formavano la cosiddetta “Mestrina”, ovvero uno degli otto quartieri (quello meridionale) in cui era suddiviso il territorio di Treviso. Un successivo provvedimento, stabilito con ogni probabilità dopo il ritorno del trevigiano sotto il controllo di Venezia, staccò Zero Branco dalla “Mestrina” ovvero dall’ambito amministrativo di Treviso e lo assegnò, forse per rafforzarla, alla Podestaria, cioè al territorio sottoposto al Podestà di Mestre. A questo periodo risale il Palazzo Sagramora, il più antico fabbricato del paese: si pensa fosse sede di un ospizio. Durante il XV e il XVI sec., anche a Zero Branco, come nel resto d’Europa, la popolazione comincia ad aumentare. Durante il dominio veneziano i terreni che fino a quel momento erano rimasti incolti, vengono dissodati e messi a coltura. L’attività agricola si fa sempre più intensa e vengono favorite le relazioni economiche con i veneziani. Zero, inoltre godeva di una posizione favorevole per i proprietari che abitavano a Treviso o a Venezia. I veneziani, soprattutto, costruirono sulle terre acquistate le loro residenze estive allo scopo di seguire l’andamento delle coltivazioni e l’amministrazione delle rendite. Nel Settecento ci sono a Zero ben otto ville. Tra i villeggianti famosi a Zero Branco, Enrico Fermi che soggiornò a Villa Bon durante l’infanzia e il grande scrittore Giovanni Comisso. Nel 1797 terminata la Repubblica di Venezia ad opera di Napoleone Bonaparte, il territorio comunale passò sotto la dominazione francese, ma nello stesso anno tutto il Veneto fu ceduto all’Austria con il trattato di Campoformido per tornare poi a Napoleone nel 1805 e poi di nuovo all’Austria dal 1814 al 1866, quando si ebbe l’annessione al Regno d’Italia. ( MATERIALE TRATTO da http://www.comunezerobranco.it/c026095/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idservizio/20199/idtesto/293)

 

La chiesa di Zero sorge all’incrocio di un cardo e di un decumano dell’antica centuriazione romana, laddove si sviluppò il primo e più antico nucleo abitativo del paese. Sembra di dover porre molto indietro nel tempo la costruzione della prima versione dell’edificio, intitolato all’Assunzione della Vergine: il titolo stesso di Santa Maria Assunta, infatti, ebbe una prima diffusione nel V e nel VI secolo e una seconda in pieno Medio Evo ad opera soprattutto dei Cistercensi. Secondo la testimonianza di un’iscrizione ora perduta, ma vista nel secolo scorso dal Fapanni, una ricostruzione dell’edificio dovette aver luogo probabilmente intorno al 1495 . All’inizio del ‘600 la chiesa, già articolata in tre navate, subì nuovi lavori di ristrutturazione: la navata centrale fu rialzata e vennero aperte cappelle laterali. Il 17 agosto 1642 fu riconsacrata in onore della Beata Vergine Maria dal vescovo di Treviso . Nel 1696 venne iniziata la costruzione del campanile, mentre la chiesa non ebbe nuovi interventi sino alla prima metà del XIX secolo, quando nel 1847 venne riedificata la facciata ad imitazione di quella palladiana di S.Francesco della Vigna a Venezia . Le più importanti opere pittoriche conservate all’interno dell’edificio sono: la pala raffigurante la “Madonna del Parto”, posta sull’omonimo altare laterale della navata sinistra,opera autografa di Jacopo Palma il Giovane che la dipinse quale replica del dipinto oggi nella chiesa dei Santi Geremia e Lucia di Venezia, e la“Sacra Conversazione”, al centro dell’altar maggiore, avente per soggetto la Madonna col Bambino e i Santi Pietro, Marco, Giovanni Evangelista e un Angelo Musico.

Lasciamo il centro di Zero Branco e andiamo in direzione sud su via IV novembre che percorreremo per circa 500 metri sino a svoltare a sinistra in via Milan. Poco oltre ecco il nuovo incontro con il fiume. 

Ci pedaliamo a ridosso per circa 500 metri e poi continuiamo a seguire via Milan per circa 2 km e poco oltre, dopo aver attraversato il rio Tasca, giriamo a sinistra in via Tasca. Altri 500 metri e quindi a sinistra, subito dopo a destra nel sottopasso e finito lo stesso teniamo la nostra sinistra prendendo a correre per un tratto a ridosso del Passante di Mestre. Seguiamo la strada tenendo la destra in direzione sud per circa 900 metri e rientrare quindi a sinistra sullo sterrato. Siamo nelle campagne di Campocroce.

Procediamo tra curve e fossi per circa 650 metri e poi all'altezza di un capitello teniamo la sinistra in direzione nord. Siamo ora in via Loreto, strada che percorreremo per circa 1 km sino a uscire a sinistra sulla provinciale 106.

Poco oltre il ponte sullo Zero e il vecchio mulino, ora importante ristorante.

Superiamo ora il ponte e teniamo la destra. Facciamo circa 750 metri tenendo la principale e poi all'incrocio saliamo a sinistra. Altri 100 metri e a destra in via Chiesa. Andiamo avanti per circa 450 metri e sulla sinistra l'antica filanda.

LA FILANDA MOTTA                             

 

Mirabile esempio di archeologia industriale tardo-ottocentesca, la sua particolarissima sagoma si scorge a fianco della chiesa del paese, perfettamente conservata come se si trovasse tuttora in piena attività, con la lunga facciata porticata dello stabilimento bacologico e i due edifici che incorniciano i lati del giardino. Poco lontano si ergono gli edifici un tempo adibiti a filanda e l'armoniosa struttura della "gallettiera" sovrastate dalla ciminiera. La costruzione dell'opificio ebbe inizio nel 1876 per volontà del Cav. Pietro Motta, allora ufficiale del Regio Esercito che abbandonò la vita militare per l'imprenditoria agro-industriale. Per ottanta anni la sua famiglia la mantenne viva e ne accrebbe la capacità produttiva finché, nel 1956, a causa della grave crisi che in quegli anni colpì il settore della seta, l'attività bacologica cessò definitivamente. La proprietà fu ceduta e gli edifici del grande stabilimento furono in gran parte adibiti ad altri usi. Nel 1989, dopo averne rilevato il pacchetto azionario,  Mario Franco diede inizio insieme alla sua famiglia ad un coraggioso programma di recupero. Pressoché terminato, il complesso oggi si propone come una delle più interessanti e meglio conservate testimonianze architettoniche della propria epoca, accogliendo all'interno dei suoi grandi spazi, in un'atmosfera carica di suggestioni, gli studi, i laboratori e gli atelier di svariate attività ricreative e professionali, la cui presenza concorre in modo decisivo a mantenere vivo lo spirito operoso di questa magnifica struttura.

LA PARROCCHIALE DI CAMPOCROCE  ( SAN TEONISTO ) E I 29 FIGLI

 

La parrocchiale, dedicata a San Teonisto e Compagni Martiri, si trova discostata dall'abitato di Campocroce, sorgendo ad est di quest'ultimo. Ha origini antichissime, essendo una delle prime cappelle dipendenti dal monastero di Mogliano (è citata già nel 1077). La chiesa è stata profondamente restaurata tra l'Otto e il Novecento. Dell'edificio originale rimangono un fregio gotico lungo le pareti laterali, tracce di una finestra e i resti di un grande affresco sulla parete esterna meridionale, che raffigura san Cristoforo, protettore dei viandanti. L'affresco del soffitto (il Martirio di san Teonisto) fu realizzato nel XIX secolo da Gian Battista Carrer. Dello stesso autore sono i tre dipinti del presbiterio: l'Adorazione dei pastori sulla parete destra, la Resurrezione a sinistra e la Fede sul soffitto. La pala dell'altare maggiore (la Vergine in gloria ed i santi Teonisto, Tabra e Tabrata), in passato attribuita a Palma il Giovane, è oggi ritenuta opera di Bartolomeo Orioli. L'altare subito a destra del presbiterio è dedicato a San Liberale e conserva una pala (Redentor Mundi) attribuita a Giacomo Lauro. Altre due dipinti si trovano sugli altari laterali: una Vergine del Rosario tra san Domenico e santa Caterina, forse di Pietro Vecchia, e una Presentazione di Gesù al tempio, di autore ignoto. La facciata, progettata da Alvise Motta, è del 1903 e anche il campanile è recente, avendo sostituito l'originale nel 1848. Come era usanza in passato, lo spazio attorno alla chiesa era adibito a cimitero. Restano ancora alcune lapidi, dei quali merita un cenno quella di Anna Troilo, morta il 18 dicembre del 1856 e madre di 29 figli, tra i quali il parroco di Campocroce don Marco Massaggia.

 

Lasciamo la parrocchiale e procediamo in direzione sud per circa 200 metri. Usciamo sulla principale e teniamo la sinistra per circa 700 metri. Alla rotonda procediamo dritti (siamo in località Boschetta). Qui il traffico è interdetto, ma sfruttando un sottopasso dopo circa 500 metri sbucheremo sul Terraglio. Lì giriamo a destra e procediamo per circa 1,4 km ( incontriamo nuovamente il fiume ) . 

Avanti circa 900 metri e quindi al semaforo giriamo a sinistra ( occorre scendere dalla bici perchè qui il traffico è vietato). Siamo nel centro di Mogliano Veneto. Poco oltre sulla sinistra il municipio e la parrocchiale. Qui si chiude la prima parte del nostro viaggio.

LE MIE MAPPE

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