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CASTELCUCCO IN BICICLETTA

 

 

Caratteristiche tecniche del percorso

Lunghezza : 14 km

Difficoltà : facile salvo i tratti in salita per il Col Muson e il Collalto. Tempi di percorrenza: 1 ora e 40 minuti

GALLERIA DI IMMAGINI

IL TOPONIMO

Secondo alcune ricostruzioni deriverebbe dalla fusione di due voci:  "castello" ( in latino "castrum") e "cucco" che sta ad indicare una altura tondeggiante. E' quindi  lampante il riferimento alla natura del territorio che è prevalentemente collinoso. Da ricordare la sua denominazione medievale che era "Castrocucho".

 

UN PO' DI STORIA

 

Castelcucco fu luogo di insediamento già nel Paleolitico. Reperti archeologici della civiltà della pietra, vennero alla luce del 1958, in località "Patt", alle cave di terra rossa. Si tratta di una serie di schegge, comprendenti punte triangolari e raschiatoi . Nelle stesse cave furono trovati e successivamente dispersi purtroppo, anche i resti di un mammuth. Questi ritrovamenti, insieme ad altri dello stesso periodo, avvenuti in località vicine (Asolo e Pagnano), attestano che sui colli asolani l'uomo abitava in un periodo risalente a circa 100.000-90.000 anni avanti Cristo. Quest'era preistorica, definita "paleolitica" perché caratterizzata dalla lavorazione della pietra, fu dominata da sensibilissime variazioni climatiche: si passava dalle lunghe e vaste glaciazioni a periodi di caldo intenso, che costringevano uomini ed animali a mutare, più volte, le condizioni della loro esistenza. Accadde così che, durante i grandi freddi, gli uomini paleolitici trovassero riparo nelle numerose caverne che, soprattutto nella zona di Castelcucco, ancora oggi si possono vedere, e che animali, come il mammuth, tipici delle regioni fredde e circumpolari, migrassero a sud nella fascia alpina e prealpina per sfuggire all'espansione dei ghiacciai. La fine del Paleolitico non coincide, a Castelcucco, con l'esaurirsi degli insediamenti umani, che, anzi, si susseguono senza soluzione di continuità. Così, nel corso del Neolitico (5.000-2.000 a.C.), periodo caratterizzato da più raffinate tecniche di lavorazione della pietra, vissero uomini, le cui tracce si continuano a rinvenire in quell'inesauribile serbatoio di materiale archeologico che sono le cave di terra rossa in località "PATT". Ai Neolitici subentrarono, nell'Asolano, i Protoliguri (2.500~1.700 a.C.), che, quasi certamente, abitarono le già sperimentate balze del Collalto e del Colmusone, dalle quali, a riprova dell'insediamento, emersero schegge lavorate di selce. Delle epoche preistoriche successive, che videro protagonisti gli Euganei e i Paleoveneti, a Castelcucco non si rinvennero tracce che ne confermassero la presenza, come pure rarissime e poco sicure furono le testimonianze archeologiche ascrivibili al periodo romano. Alla caduta dell'impero romano nel V secolo d.C., Castelcucco, secondo alcuni studiosi, era già stato evangelizzato, e questo  per l'inclusione di questa zona nell'area di influenza dell'antica diocesi di Padova. Se delle invasioni barbariche non rimase segno a Castelcucco, ben più rilevanti furono le tracce lasciate dalla dominazione longobarda. Questo popolo, occupata l'Italia settentrionale, s'era immediatamente insediato anche nell'Asolano, restaurandovi la precedente rete difensiva dei "castellieri" romani. Alla sommità dei colli più alti e strategicamente meglio collocati, erano state ripristinate costruzioni militari dalle quali era possibile emettere segnali a mezzo di fumate, e quindi di stabilire un'originale ed efficiente rete di segnalazione tra centri abitati e postazioni difensive anche molto lontane tra loro. I colli di Castelcucco appartennero con certezza a questo sistema difensivo, la cui attuale individuazione appare accompagnata da una serie di toponimi indubbiamente longobardi come per esempio il termine Farra , che inducono a far credito alle dedicazioni delle chiese, tipiche di questa epoca, e fra esse quella di S. Giorgio, titolare della chiesa parrocchiale di Castelcucco. Ma la prova più evidente della presenza longobarda in questa località è data da un interessante ritrovamento archeologico: due tombe ad inumazione che furono scoperte nel 1874 nell'area dell'attuale municipio. Al loro interno era conservato un piccolo ma importante corredo funebre, tipico d'una sepoltura di fanciullo, costituito da una piccola croce d'oro ed alcune fibiette databili intorno al VII secolo. L'oggetto, una rarità per l'intero Veneto, è quindi indubbiamente longobardo e lo conferma il luogo in cui è stato ritrovato. Già prima dell'anno mille e nei secoli successivi la situazione territoriale si andò via via chiarendo e determinando sino alla costituzione, entro gli attuali confini comunali, di due vere e proprie "regole" (territori con dignità comunale): una, la "regula de Castrocucho", costituita dai colmelli di Càrpene e dei Patt che anticamente costituivano il vero paese, l'altra, ad occidente, la "regula de Collo Muxoni". Ognuna di queste due frazioni territoriali aveva la propria chiesa: per Castelcucco, il vecchio e piccolo oratorio di San Bartolomeo, posto sui declivi meridionali del Collalto, per Col Muson quella che oggi è la parrocchiale di San Giorgio. Tutte e due le località erano dominate da altrettanti castelli, affiancati alle chiese, di proprietà della famiglia dei Maltraversi, detti anche da CASTELCUCCO.Solamente della fortezza sul Col Muson rimangono oggi alcuni ruderi, mentre della seconda, posta sul Collalto, non dovrebbero esistere che rari residui ormai sepolti dai rovi. Castelcucco subì nel corso del XIV secolo, le complesse vicende che caratterizzano la vita della Marca Trevigiana e dell'Asolano in particolare, e cioè il succedersi d'una dominazione all'altra; per citare solo quelle più significative: quella veneziana (1338), quella del Duca d'Austria (1381), la Carrarese (1382) ed in fine questa volta definitivamente, ancora la veneziana (1388). Il terremoto tristemente famoso ( quello di Santa Costanza ) nel 1695 distrusse a Castelcucco ben duecento delle trecento case esistenti, danneggiò gravemente la chiesa e provocò il crollo parziale del campanile. Per la canonica, anch'essa gravemente colpita dal sisma, nulla fu fatto e nel 1753, durante la visita pastorale, era ancora diroccata al punto che "parte del tavolato delle camere era caduto e per poco il Vescovo non vi precipitò.... " Nel 1797, alla caduta della Repubblica Veneta, Castelcucco dovette subire le violenze e le ruberie delle truppe francesi di Napoleone che avevano occupato il Veneto, aggravando le privazioni e la miseria delle povere popolazioni locali. Nel 1836, un altro terremoto rase al suolo il vecchio e rabberciato campanile. Si dovette però attendere l'inizio del XX secolo perchè la popolazione provvedesse a costruire quella torre che ancor oggi spicca a fianco della chiesa parrocchiale. Questo tempio, una prima volta consacrato il 5 ottobre 1644 dal vescovo di Treviso Antonio Lupi, fu rifatto nelle forme attuali nel corso del Settecento.

 

Il TERRITORIO DI CASTELCUCCO ( tra colli, corsi d'acqua e spianate)

Il paese di Castelcucco, è situato per la gran parte in un territorio di tipo collinoso tra Asolo e le pendici del Monte Grappa. In esso non scarsi sono i " ceppi d'acqua ", molto spesso piccoli sia per portata che per lunghezza; eccoli qui elencati: il torrente Erega e l'Ereghetta: scorrono sul versante sud occidentale del territorio di Castelcucco. Il primo in particolare,nasce nei pressi di Via San Giacomo in Paderno del Grappa e chiude la sua corsa dopo poco più di un chilometro in Pagnano D'Asolo ove contribuisce alle acque del Muson che proviene da est e quindi da Monfumo.

Il torrente Muson di Castelcucco, lungo il suo percorso, nel passato,  ha alimentato varie e molteplici attività: " nove folli da panni, settanta fabbriche e tellari per li medesimi " ricordati nel 1780; inoltre " otto mulini, tre fucine, e fabbriche di pannilana " insieme con " cinque magli di ferro, cinque tessitoi di mezzolane, flanelle, maglie; una tintoria, tre fabbriche di feltro secco, tre di feltro per cartiere, una di feltro per la Marina " elencate a fine Ottocento. L’ultima citata, gestita da Lucio Pinarello, la prima introdotta nel regno, fu brevettata nel 1878 e premiata nel 1881 all’esposizione di Milano. 

E poi ancora: Il torrente Bodelago o ghiaia di San Martino, Il Valle di ghiaia della Costa, Il Valle Schiener detto anche Schenere o Schenera, Il Val Maor di Collalto e Il Valle Organo.

 

A nord invece ecco i colli di cui vanno segnalati: il Col Muson con i suoi 387 metri e il Collalto posto sul fronte est del territorio. Il paese si è consolidato intorno al suo incrocio, dove, oltre alle abitazioni, sono sorti il Centro Sociale, le Scuole Medie, l’Albergo Ristorante Montegrappa. Ad est, l’altro nucleo originario con i vecchi colmelli di Carpanè e dei Patt.

E allora facciamoci un giro nei luoghi di queste storie! Partiamo dalla sede dell'attuale Municipio! Un piccolo comune di circa 2.200 abitanti! Siamo a quota 189 sul livello del mare: un giro tra le sue piccole cinque frazioni che sono:Case Zalunardo, Collalto, Posa, San Francesco e Santa Margherita. 

LA SEDE MUNICIPALE

MUNICIPIO
La piazza antistante il Municipio è il nostro luogo di partenza: la attraversiamo giusto il tempo per andare a salutare qualche amico
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LA CHIESA ARCIPRETALE DI SAN GIORGIO - la parrocchiale -

La chiesa arcipretale di San Giorgio sorge sopra un piccolo colle che si eleva di una decina di metri rispetto al piano campagna. Sopra questo si trovano la chiesa, la canonica e il  campanile. Chiesa e canonica formano un corpo unico. Attraverso l’osservazione della posizione della canonica e della chiesa si evince che il muro sud della chiesa coincide con quello nord della canonica. La chiesa rifatta e rimaneggiata, conserva opere interessanti: i due altari lignei, trasportati dalla chiesa campestre di Santa Lucia; dipinti di scuola del * Bassano e di Sebastiano * Santi;  la quattrocentesca tavola della Vergine col Bambino, proveniente, con i quattro Evangelisti, dall’Oratorio di San Bartolomeo.

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CHIESA

Riprendiamo ora la nostra pedalata in direzione nord per altri 100 metri : un bel angolo di quiete è lì ad aspettarci. 

ANGOLI

Riprendiamo ora la nostra pedalata e teniamo la sinistra: bisogna cominciare a salire. Siamo in via Rive.

DA VIA RIVE

Si sale sul bosco sino a raggiungere dopo 1 km, quota 301. 

301

Avanti  ancora 500 metri ed eccoci alla chiesa di Santa Giustina

SANTA GIUSTINA

Della chiesetta la più antica notizia di cui si è a conoscenza si deve a due documenti dell'anno 1172, con cui i da Rovèro, signori del vicino castello omonimo, rinunciano a tutti i diritti che detenevano sulla chiesa di Santa Giustina in favore del priorato di Santa Maria Maggiore o Santa Fosca di Treviso, dipendenza del famosissimo monastero di San Silvestro di Nonantola. e in favore della chiesa di San Teonisto di Possagno, anche questa di obbedienza nonantolana. 

SANTA GIUSTINA

Se ora diamo le spalle alla chiesa ci accorgiamo di una stradina che corre sotto il bosco. La affrontiamo pedalando per circa 400 metri. poii svoltiamo decisamente a sinistra. Circa 700 metri più avanti siamo a quota 357, quasi all'apice del Col Muson. Siamo nei pressi dei resti del Castello di Col Muson.

IL CASTELLO DI COL MUSON

I resti del castello di epoca medioevale (sec. XII - XIV) si trovano ad una quota di circa 387, 50 m. nel punto culminante del Col Muson. Complesso fortificato di articolazione planimetrica allungata, inserito nel festone di colline che delimita a sud la Valcavasia. I resti occupano un settore della cresta del Col Muson lungo circa m.156 e largo al massimo m. 31, fortemente rimodellato da spianamenti e riporti antichi che sfruttarono come muri di contenimento la cinta del castello.

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Riprendiamo la strada  principale cominciando di fatto a scendere. Si tratta di 1,2  km di discesa...

GIU' DAL COL MUSON

Teniamo ora la sinistra e avanti 150 metri. Ora scendiamo a destra in via Ru per 300 metri: al di là della strada ecco una chiesetta davvero interessante : Santa Lucia.

LA CHIESETTA DI SANTA LUCIA ( la prima sede parrocchiale?)

Sperduta tra i campi di Via Santa Lucia, ubicata in una amena posizione in mezzo al verde e circondata da un piccolo piazzale a prato con alberi secolari ecco la Chiesetta di Santa Lucia, fatta risalire addirittura al 1200. Dalle forme semplici, dotata di facciata con protiro a protezione del portale, sormontato da piccolo rosone; e bel campanile-torre nel retro. Splendido l’altar maggiore, di legno intagliato e dorato,  con una tela, datata 1635, raffigurante la Vergine con i Santi Agata e Stefano. La patrona non ha certo bisogno di presentazioni considerando che si tratta di una Santa veramente universale, di  grandissima fama e venerata in tutto il mondo. La troviamo anche nella “Divina Commedia” di Dante Alighieri, che fece di lei il simbolo della luce spirituale,  cioè della Grazia illuminante. La tradizione narra che a Lucia, denunciata come cristiana al proconsole romano, siano stati strappati gli occhi, e per questo è da sempre invocata come protettrice contro le affezioni della vista; tra l’altro il suo stesso nome evoca la luce. Nelle iconografie, gli artisti la raffigurano nell’atto di presentare su un bacile gli occhi divelti, come oggetto simbolo del suo martirio. La tradizione tende a sottolineare la presenza di una comunità di frati, ma la carenza di prove documentali lascia più spazio alla leggenda che alla storia, la quale fa risalire l’origine della chiesa al XII secolo. Si sa per certo comunque che alla caduta della tirannide dei Carraresi di Padova, avvenuta il 13 dicembre 1388, l’edificio fu dedicato a Santa Lucia poiché in quello stesso giorno ricorreva la sua festa liturgica. Si parla dunque di una costruzione risalente all’Alto Medioevo, e appare fondata l’ipotesi di alcuni studiosi che la considerano l’antica sede parrocchiale. Il nucleo originario dell’edificio di Santa Lucia, ricco di storia, era simile a quello vecchio di San Bortolo, ed è citato nella visita pastorale del 2 giugno 1467. In seguito la chiesa fu ampliata e modificata, proprio negli anni fra il XVI e l’inizio del XVII secolo, fino a raggiungere l’aspetto che conserva tuttora, come farebbe intendere la scritta sull’architrave della porta laterale.

SANTA LUCIA

Torniamo sui nostri passi; ora andiamo a sinistra sulla principale e teniamo la sinistra per 300 metri. Ora andiamo su in via San Francesco. Circa 300 metri eccoci nel complesso di Villa Perusini e dell'Oratorio di San Francesco

VILLA PERUSINI

 Splendido esempio di arte settecentesca,  dal punto di vista storico, i primi proprietari furono i Medusa, poi il complesso con l’annesso oratorio passò alla famiglia Malfatti. Nel Settecento i Malfatticedettero una parte della villa ai Perugini, arricchitesi con la follatura della lana, i quali in seguito divennero gli unici proprietari. A questa famiglia spetta il restauro settecentesco e la costruzione della chiesetta. Nel 1801 vi dimorò Napoleone Bonaparte, in seguito la  villa passò di mano tra diversi proprietari: prima Mons. Pietro Basso, poi i Pivetta, quindi il cav. Lucio Pinarello dall’inizio del XX secolo. Successivamente la proprietà passò ai Filippin ed infine all’attuale titolare sig. Andreatta, residente a San Francisco di California. E’ da ricordare che ultimamente dimorava nella villa il noto giornalista e scrittore Sergio Saviane, scomparso nel 2001. Secondo nuove ricerche la villa potrebbe essere stata la prima residenza dei nobili di Castelcucco presenti nel paese dal Trecento. La villa è costituita da più corpi che rispecchiano tempi di erezione diversi come testimonia la presenza delle due bifore rinascimentali nella facciata a nord, ma il suo fascino è dato dall’unificazione di più edifici che vanno a formare il cosiddetto “Borgo Perusini”. Ad accrescere la suggestione del luogo l’Oratorio, dedicato a San Francesco, un’opera di raffinate eleganze settecentesche, attribuita al noto architetto veneziano Giorgio Massari. ( quello di Villa Lattes a Istrana ). Siamo sulle pendici meridionali del Col Muson. Ad esso si accedeva direttamente attraverso i piani superiori, tramite un corridoio pensile sostenuto da un'arcata bassa sovrastante la strada comunale.

VILLA PERUSINI
ORATORIO DI SAN FRANCESCO

Scendiamo ora lungo via San Francesco per circa 200 metri; a destra per cento metri e quindi ancora a destra in leggera salita per altri 200 metri. Siamo a Santa Margherita

 LA CHIESETTA DI SANTA MARGHERITA

Si trova nei pressi dell’acquedotto, nell’omonima via di Santa Margherita, una laterale della strada che porta verso il comune di Paderno del Grappa, in posizione isolata e terminante in un vicolo cieco. A causa della sua collocazione discosta dalle principali vie di traffico, questo oratorio è stato dimenticato per parecchio tempo. Oggi si cerca di rivitalizzarlo e di attribuirgli la giusta importanza al pari degli altri luoghi di culto paesani. Relativamente alle radici storiche dell’edificio, l’atto notarile più antico che si conosca riguarda la visita pastorale del 2 giugno 1467, ma le origini sono sicuramente più antiche, poiché una piccola donazione elargita alla chiesa di Santa Margherita è attestata in un documento del 20 giugno 1316. Qualche anno dopo, un altro documento certifica il lascito di due soldi alla chiesa di Santa Margherita da parte del fu Giovanni Pessato dei Colli di Paderno. All'interno bello il ligneo paliotto secentesco dell’altare e nove piccole figure di Santi a contorno della Santa Patrona del colmello Colmuson da cui si raggiungono le vicine sorgenti del Muson.

SANTA MARGHERITA

Torniamo sui nostri passi,scendiamo per circa 300 metri e giriamo a destra e quindi poco oltre a sinistra per prendere via Erega.Siamo ora nei pressi del torrente, affluente più a sud del più famoso ed importante Muson. Scendiamo per circa 900 metri e quindi a sinistra sulla via che si chiama ancora Via Erega. Altri 500 metri e quindi a destra su via G.Marconi. Giù per 200 metri e quindi a sinistra in via Posa. Procediamo sino all'incrocio ove vedremo proprio davanti a noi,ormai "oscurata" dalle abitazioni, l'oratorio di San Gaetano.

 

L'ORATORIO DI SAN GAETANO

L'oratorio di San Gaetano, detto anche Chiesa della Salute, si trova lungo la strada principale del paese, e quindi scendendo verso Casonetto nel colmello denominato “ Posa “ seminascosto tra gli edifici adiacenti. La dedicazione alla Madonna delle Grazie potrebbe riferirsi ad uno scampato pericolo, la peste del XVII secolo, che non colpì Castelcucco. Esso è stato costruito nel 1727 dalla nobile famiglia asolana dei Colbertaldo ( e li vicino infatti troviamo anche la casa signorile dei Colbertaldo e la vecchia casa cantoni. E’ sempre stata sua caratteristica peculiare quella di trovarsi all’incrocio tra reti viarie di una certa importanza, come si evince dalla pianta del graticolato romano della zona. La costruzione iniziale è ipotizzata all’epoca dell’evangelizzazione operata nel Veneto da S. Prosdocimo, nei secoli V e VI.

 

SAN GAETANO

LA STRADA DEI COLLI E I TERRENI A SUD

Lasciamo ora l'oratorio alla nostra sinistra e procediamo sulla strada dei colli. E' la strada che ci porterà in discesa ad esplorare la parte più bassa del territorio, a valle, laddove dominano le acque del Muson di Castelcucco. Scendiamo quindi su questa via per circa 1,4 km sino ad entrare a sinistra su via Carpena. 

 

INGRESSO DI VIA CALPENA

Una stradina davvero piacevole che transiterà in mezzo ad una piccola borgata.

VIA CALPENA

 Circa 600 metri ancora e incontreremo il Muson di Castelcucco all'altezza di Via Valli.

MUSON DI CASTELCUCCO

Saliamo ora a sinistra per circa 900 metri e poi andiamo a destra su via Valmaggiore. Si tratta di circa 1 km in mezzo a boschi davvero interessanti. Usciamo ora a sinistra ancora in salita su via Collalto. Avanti per circa 400 metri sino a notare sulla nostra destra una stradina che si immette dentro al bosco. Entriamo su uno sterrato davvero duro e saliamo per circa 1 km. Dovremo avere pazienza da queste parti: la strada non è ben segnata: alcuni tratti li dovremo fare a piedi e con fatica in mezzo al bosco. Usciamo ora a sinistra sulla strada. Siamo praticamente in cima al Collalto. Scendendo a sinistra dopo circa 500 metri, sulla nostra destra, splendido nel suo isolamento, ecco la Chiesetta di San Bartolomeo.

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LA CHIESETTA DI SAN BARTOLOMEO

Posta sui declivi meridionali del Collalto, la chiesetta di San Bartolomeo offre un panorama prezioso ed un vecchio oratorio con un curioso affresco dei Dodici Apostoli e il Redentore inquadrati nei simboli dei Quattro Evangelisti. 

IL RITORNO A CASA...VERSO IL MUNICIPIO

Lasciamo ora San Bartolomeo e scendiamo a destra sulla strada che ci porterà dopo circa 700 metri ad incrociare via Vallorgana. Ora  andiamo a sinistra e dopo circa 250 metri troviamo la rotonda. Lì andiamo a destra e avanti per circa 50 metri: ecco il Municipio, la conclusione del nostro viaggio.

 

APPENDICE : IL CASEL ( il latte, il burro e il morlacco )

 

“Premiata Latteria Soc. Le Coop. Va Lungo Muson Castelcucco di Asolo”:  così annuncia la scritta posta sulla facciata dell’edificio che ospita questo esempio, allo stesso tempo di archeologia industriale e  archeologia rurale: un’attività, quella lattiero-casearia, di cui era costellata questa zona collinare fin dagli inizi del XX secolo. E non è da dire che qui, tra queste colline, l’allevamento delle bovine da latte fiorisse in modo particolare, come poteva essere nelle più feconde pianure irrigue. Ma se non abbondava il latte, esso era di ottima qualità e soprattutto abbondavano l’iniziativa e lo spirito ai imprenditoria degli abitanti di questa contrada, come dimostrano i molti opifici come i filatoi, le cantine sociali, le fornaci. Merito  dunque a questa iniziativa di ripristino a scopi conservativi e museali di questa struttura che, nata nel 1921, ha cessato l’attività nel 1956.

 

Il latte proveniva dall’allevamento della pezzata nera, di origine olandese, localmente chiamata “burlina”, la cui produzione veniva conferita da un Centinaio di soci, per lo più dello stesso comune di Castelcucco. La massa di latte conferita veniva in parte rivenduta direttamente per la massima parte però trasformata nei tre prodotti tipici dell’industria casearia e cioè: burro, formaggio e ricotta. Il formaggio subiva anche una salatura a secco in un locale apposito, chiamato “salina”, ed una stagionatura che non superava però mai i dodici mesi. In quantitativi minori e a solo uso e consumo dei soci veniva prodotto anche un formaggio speciale del luogo chiamato “Morlacco”. Ma sembra esser stato il burro il fiore all’occhiello di tale produzione stando ad un “Diploma” di riconoscimento della sua qualità, che pende, ancora ben incorniciato, al muro della sala di lavorazione fin dal 1926. Visitando questi locali e soprattutto il grande salone di lavorazione, ci si rende conto di un’epoca in cui, anche per l’agricoltura, i nuovi tempi rappresentavano un passaggio dalla tradizionale lavorazione a mano, tipicamente artigianale, a quella che solo qualche decennio dopo sarà completamente meccanizzata e a carattere industriale.

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